Disoccupazione

Ammalarsi di disoccupazione

“Rabbia”, il dizionario della lingua Italiana definisce questo termine come: «Violenta irritazione, spesso accompagnata da parole o da azioni incontrollate SIN collera, ira, furore»; credo sia anche il sintomo più diffuso che prepotentemente si manifesta tra i giovani disoccupati che, nel 2014, attraversando la realtà del Mezzogiorno d’Italia, si avventurano in “un qualsiasi” rapporto professionale, in “un qualsiasi” posto di lavoro. Si, si “avventurano”, perché quando la cultura delle regole viene meno, quando non vengono applicate leggi e disposizioni giuridiche precise atte a regolamentare un determinato luogo o un determinato mercato come quello del lavoro, l’unico elemento al quale è possibile affidarsi è proprio la fortuna.

Tra i tanti mestieri c’è poi quello del giornalista, che proprio come un pittore fa su tela, dipinge su un foglio bianco con inchiostro quella che, secondo lui è, o sembra essere una determinata realtà sociale, economica, materiale. Qualsiasi grande artista che la storia ci ha regalato, ci ha insegnato a cercare ed a lasciar spazio all’ESTRO, e per amore di quest’ultimo a non imporgli alcun vincolo. Quale ispirazione cogliere allora in un periodo di decadenza come quello che la nostra Italia attraversa? Un periodo fatto di nuovi termini come: Spread, Standard and Poors, Antitrust!?

Basta fare una passeggiata sotto il sole della mattina che carico di energia ci bacia, per vedere quante storie di giovani “a spasso” ci siano da raccontare, storie fatte soprattutto di frustrazione, amarezza e rabbia per l’appunto.

Facendo riferimento a questo Aprile che ormai volge al termine l’ISTAT ci informa che la disoccupazione giovanile è salita al 46%, uno dei tassi più alti dal dopoguerra ad oggi, e che chiaramente riflette in maniera chiara la pessima amministrazione politica che nell’ultimo decennio lo stivale ha subito.

Questo ambiente sociale, la crisi economica, la mancanza di controlli fiscali sul territorio e non per ultimo il completo abbandono perpetrato da parte dello Stato verso i suoi giovanissimi disoccupati, fa sì che quest’ultimi si trovino in balìa di piccoli “negrièri” padroni di piccole e medie attività che, in uno scenario che ricorda lo Schiavismo Americano delle piantagioni di cotone, impone i suoi prezzi a chi è disposto ad accettarli, senza meglio specificare la maggior parte delle volte quale sarà la, o le mansioni alla portata del “pezzo di carne” in quel momento candidatosi di fronte a lui, riassumendo così l’Italia come una repubblica fondata sul “questoèmegliocheniente”.

Come è possibile che proprio l’Italia patria di Socialismo ricordando su tutti Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, terra rossa di sangue Partigiano, vessillo di resistenza all’oppressore, sia diventata un paese in cui lo Stato è incapace di garantire le facoltà cui fa riferimento la dichiarazione UNIVERSALE dei diritti dell’uomo nell’articolo 23 par. 1. 2. 3. ?

Se è vero che il lavoro, proprio in quanto lavoro nobilita l’uomo c’è poco da arrabbiarsi, la parola d’ordine diventa allora costruire solidi argini per poter incanalare l’indignazione e indirizzarla verso i propri obbiettivi, non tralasciando tra questi di certo il desiderio di libertà per se stessi e per il prossimo da qualsiasi forma di sottomissione sociale ed economica partecipando forse più attivamente alla politica nazionale ed europea, Giorgio Gaber che da grande artista si ispirò anche alla libertà, in un suo celebre testo scrisse che: “la libertà è partecipazione” tocca allora a noi riscattarla.

di Bruno Frangella

 

N.B.

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO.

Articolo 23

1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, ad altri mezzi di protezione sociale.

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