vecchio e nuovo

25 MAGGIO: UN VOTO TRA VECCHIO E NUOVO

Non ci si addentra nei sondaggi perché in questi giorni non ne esistono ufficiali perché non si possono quantomeno rendere pubblici ma riesce semplice scommettere sull’atavica divisione fra chi conserva e chi protesta. Il voto alle europee lo stanno definendo come un voto di ballottaggio. Ma il ballottaggio che si proporrà il prossimo 25 maggio non è fra due partiti, fra due leader, fra due coalizioni. Il ballottaggio del prossimo 25 maggio sarà fra il vecchio ed il nuovo, là dove il vecchio non è per forza il male assoluto ed il bene non può rappresentare la salvezza del Paese e delle città. Il ballottaggio, dove i cittadini saranno chiamati a scegliere, sarà l’ennesimo. Ma anche questa volta non vincerà nessuno. Sarà l’ennesima riproposizione di una semplice guerra di posizione fra chi c’è e chi non ci vuole stare. E’ la storia che si ripete. Da quando il voto è un diritto il suo esercizio fondamentalmente non è mai stato uno scegliere fra un partito o un altro. Soprattutto nelle nostre zone, nei nostri paesi, nelle nostre città, votare è stata la scelta meno libera che un cittadino abbia potuto effettuare. Si è votato a favore per legami di amicizia, si è votato per stima, si è votato per riconoscenza, si è votato per tradizione, si è votato in attesa di un qualcosa; si è votato contro perché non si hanno amici, si è votato contro perché non si stima, si è votato contro perché non si deve niente a nessuno, si è votato contro perché si è senza tradizioni, si è votato contro perché non ci aspettava nulla. Al di là dei partiti, al di là persino delle idee. Ogni turno elettorale vede il paese con la “p” minuscola ed il Paese con la “P” maiuscola dividersi fra chi non vuole nessuno del vecchio e chi ancora crede che qualcosa di nuovo ci sia anche nel vecchio. E chi è od era contro ha scelto il voto di protesta ora vestito di rosso, ora di verde, ora penta stellato etc etc. La scelta è perenne ma è una scelta comunque non libera. Basta fermarsi a riflettere un attimo: quanti italiani, e quanti paolani, accettano di buon grado di votare politici ed amministratori che uno dietro l’altro cadono sotto i colpi degli scandali e delle procure? Quanti italiani, e quanti paolani, sono convinti che davvero non tutti sono uguali, che comunque uno scheletro, se pure piccolo piccolo, è nascosto dentro un armadio o un armadietto di ogni casa? E’ il pessimismo dilagante, è la completa mancanza di fiducia nell’altro, è la legge terribile e disumana del bisogno. In politica un antico adagio diceva un tempo che in periodi di crisi vince chi meglio sa muoversi e dimenarsi nel fango. Il fango, inteso non come sporcizia ma come palude da cui è difficile rialzarsi, è oggi diffuso. Chi sa muoversi meglio, oggi, in questa crisi paludosa? Chi in qualche modo la ha generata e conoscendola riesce a muoversi tendendo una mano qua e là per aiutare qualcuno a risollevarsi o chi immagina di sorvolare la palude rischiando di caderci dentro, rischiando di non risollevare né se stesso né alcun altro? Il ballottaggio probabilmente è tutto qui. Un tempo, o forse ancora oggi, la Chiesa suggeriva di votare un buon cristiano perché un buon cristiano intriso di sani principi sarebbe stato un buon amministratore. Potrebbe essere una buona indicazione nella sua traslazione laica e rovesciando la medaglia: non votare chi nella palude ci sguazza da tempo, chi promette una mano di aiuto per risollevarti, chi dice che il fango non c’è più o si sta asciugando. Al di là dei partiti, persino al di là delle idee, perché il bene assoluto, così come il male assoluto, non sta da una sola parte. Non lo è mai stato.

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