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Il disagio generazionale vissuto da coloro che, tanto in Calabria quanto in Italia, possono essere inquadrati nel periodo della “gioventù”, dalle nostre parti è anche gravato dalla frustrazione del talento. Non che questo sia un argomento “esclusivo” della nostra zona, però in Calabria – e in special modo a Paola – nell’ultimo periodo sembra proprio che il curriculum abbia smesso di rappresentare un valore aggiunto.
Si pensi a ciò che accadrà se davvero si arriverà a ratificare le sette assunzioni, necessarie alla pianta organica del comune, secondo i criteri deliberati dall’esecutivo in carica. Una mannaia s’abbatterebbe su decine di ragazzi che in città, pur avendo coronato l’obiettivo della laurea ed averlo impreziosito con master e studi prestigiosi, si troverebbero esclusi perché magari “troppo freschi” per lo stagionato mercato della “burocrazia elettorale”.
Come fosse un cerchio che s’allarga, questo strano spogliamento delle qualifiche che caratterizzano l’unicità della figura ricercata, ha iniziato a manifestarsi in molti ambiti. Un recente caso su cui riflettere, ad esempio, s’è verificato nell’ambito della selezione di figure funzionali ad un progetto di servizio civile interno all’ospedale “San Francesco di Paola”. All’esito delle valutazioni sulle candidature, la graduatoria “provvisoria” pubblicata sul sito della Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia, attesta due “capiclassifica” divisi da un solo punto, cui segue – alla stessa lunghezza – una “terza arrivata” e, con distacchi più consistenti, tutti gli altri.
Tra i criteri di selezione, 50 punti si potevano assegnare ai titoli posseduti (dei quali 30 attribuibili sulla base delle precedenti esperienze lavorative e di volontariato e 20 per i titoli di studio e di formazione); mentre altri 50 punti sarebbero risultati dal colloquio motivazionale.
Forse è per queste ragioni che, una nuova leva classe ’96 (ventenne), è riuscito a superare una veterana del 1989, pure laureata.
