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Malgrado le circostanziate denunce con cui era riuscita ad inchiodare il suo ex, il processo di primo grado – a carico di colui che rimane formalmente imputato di accuse tra le quali “minacce e stalking” – si è concluso con una condanna “mite”.
Un anno e quattro mesi a fronte dei quattro richiesti dall’accusa, perché l’uomo – accusato dalla sua ex convivente – ha potuto giovarsi delle ritrattazioni e delle reticenze della dona che, in un’aula di Tribunale – non ha confermato ciò che aveva denunciato in precedenza.
Ripercorrendo i fatti bisogna partire dalla relazione, un’unione fortemente avversata dalle famiglie d’origine di entrambi i protagonisti di questa storia, perché la differenza d’età tra i due era già di per sé un elemento da tenere in considerazione.
Malgrado le contrarietà parentali, i due hanno continuato a frequentarsi e a portare il rapporto ad un livello successivo alla semplice infatuazione reciproca.
Tuttavia, quando la donna si è resa conto di non poter proseguire nel rapporto, l’uomo abbandonato – assistito in aula dall’avvocato Giacomo Middea – avrebbe dato vita ad una serie di comportamenti del tutto estranei alla civile convivenza, mettendo in atto delle pratiche per le quali solo il codice penale sarebbe dovuto servire come deterrente.
Irruzioni in casa della malcapitata, alcune con strascichi violenti al punto d’aver generato preoccupazioni per la propria incolumità (perché condotte mediante l’utilizzo di una spranga, funzionale ad aggravare minacce di morte già pronunciate), quindi messaggi minatori e vessazioni persecutorie che, però, al vaglio dei giudici paolani si sono dissolte come neve al sole, perché la presunta vittima non avrebbe confermato in aula ciò che aveva dichiarato alle forze dell’ordine al momento della denuncia.
Eppure, all’atto pratico della conferma delle accuse, la donna si è tirata indietro, favorendo circostanze per le quali – malgrado i 4 anni chiesti dalla pubblica accusa – all’uomo sono stati inflitti “soltanto” un anno e 4 mesi.
