michelangelo montefusco

Paola – «Non s’uccise per amore». Morte “Miki Monte Dj”: nuova udienza

Se le cose fossero andate diversamente, oggi Michelangelo Montefusco (conosciuto anche con il nome d’arte “Miki Monte Dj”) sarebbe stato un giovane ventiseienne che, date le sue doti, avrebbe avuto il vento in poppa per affrontare la vita.

Invece, in una tragica giornata di otto anni fa, il giovane sanlucidano venne ritrovato cadavere nel garage al cui interno si sarebbe dovuta tenere la festa per i suoi diciotto anni, con un cavo elettrico cinto intorno al collo.

«Ti voglio bene mamma», l’ultima frase scritta su un bigliettino.

Una morte inspiegabile, che nelle prime e concitate fasi successive al ritrovamento, venne inquadrata nell’ambito del suicidio per questioni sentimentali, quasi derubricata a tragica fatalità derivante da uno stato emotivo non in perfetto equilibrio.

Una versione alla quale i familiari del ragazzo non hanno mai voluto credere e che, stante il procedimento penale tutt’ora in corso presso il Tribunale di Paola, non ha convinto neanche gli inquirenti, intenzionati a scoprire cosa abbia indotto un ragazzo minorenne a togliersi la vita in quel modo.

«Michelangelo non si è tolto la vita “per amore” – ebbe a dire Nicola Rendace, legale dei genitori del giovane – Intendo rimarcare questo aspetto perché nel procedimento in atto […] nessuno ha fatto riferimento alle cause del suicidio del giovane, che a tutt’oggi non sono ancora state definite. Datosi che quello in corso è un processo che vede alla sbarra i genitori della ragazza con cui il minorenne aveva avuto trascorsi relazionali, è necessario mettere in chiaro che l’eventuale matrice del gesto non è dipesa da un rifiuto o da una mancata corresponsione di sentimenti. Allo stato attuale si sta conducendo un dibattimento per stalking, un reato del quale il Gip ha inteso accusare coloro che, secondo più testimoni, si sarebbero resi protagonisti di episodi di aggressione e minacce nei confronti di Michelangelo».

Alla luce delle indagini condotte, in un primo tempo s’era ipotizzata l’accusa di “induzione al suicidio”, un reato che il Gup De Rose, in sede di udienza preliminare, tramutò in stalking.

Il processo prosegue quindi a porte chiuse, con le parti impegnate a chiarire la dinamica degli eventi precedenti a quel tragico 1 Febbraio 2011, una catena di fatti che lo stesso avvocato Rendace ebbe a ricostruire partendo da «strani accadimenti precedenti al suicidio, come quello inerente lo spostamento di un’intera classe di alunni del liceo scientifico di Paola che, secondo una ricostruzione dei fatti, sono stati traslocati dal secondo al quinto piano dell’istituto su richiesta dei genitori della ragazza con cui Michelangelo aveva avuto una relazione, per poi tornare al loro posto una volta che il giovane era morto. A questo andrebbero aggiunti altri atteggiamenti intimidatori presumibilmente perpetrati fin dentro la casa in cui Michelangelo viveva».

Assistiti dall’avvocato Massimo Zicarelli del foro di Paola, i genitori della giovane con cui Michelangelo ebbe trascorsi relazionali, stanno ora difendendosi dall’accusa di stalking e, per questa ragione, nel corso dell’udienza tenutasi ieri, sono stati ascoltati sia la ragazza – oggi universitaria, all’epoca dei fatti compagna di liceo di Michelangelo – sia il maresciallo dei Carabinieri di San Lucido, Antonino Cangeri, intervenuto quando venne trovato il corpo esanime del ragazzo; sia un operante del Commissariato di Paola che aveva seguito le indagini del caso. L’udienza è stata aggiornata per sentire altri testimoni.

About Francesco Frangella

Giornalista. Mi occupo di Cronaca e Politica. Sono tra i fondatori del Marsili Notizie ed ho collaborato come freelance per varie testate.

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