Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono stati condannati a un anno e sei mesi dai giudici della Corte d’Appello di Milano per evasione fiscale. La condanna, che riduce di due mesi quella inflitta in primo grado, rappresenta la conferma del reato commesso dai due stilisti nei confronti del Fisco e, quindi, nei confronti di tutti i contribuenti e dei cittadini italiani.
Il Pubblico Ministero (Gaetano Santamaria Amato), durante la sua requisitoria, aveva richiesto l’assoluzione dei due imputati perché “il fatto non sussiste”, suffragando la sua requisitoria con queste parole : «si tratta di due stilisti che pensano in grande come si conviene alla squadra di un grande gruppo italiano della moda presente nel mondo […]Dolce & Gabbana […] pensavano alla quotazione in Borsa per porsi alla pari degli altri grandi gruppi nel settore e sono andati in Lussemburgo perché là c’è un regime fiscale capace di attrarre capitali e attirare investitori internazionali». Nonostante le parole di questo togato che avrebbe dovuto rappresentare lo Stato e i danni subiti dagli italiani per un mancato introito quantificabile in oltre 200 milioni di €, Dolce & Gabbana sono stati ugualmente condannati. La sentenza del Tribunale d’Appello di Milano è inequivocabile: «Condotta di un abuso di diritto posta in essere al solo scopo di procurarsi un vantaggio fiscale».
A questo punto bisogna fermarsi e riflettere sul reato di evasione fiscale in Italia: se le pene si tramutano in una visita ai malati di Alzheimer di Cesano Boscone, se l’atteggiamento della magistratura inquirente si tramuta in un’arringa a difesa dell’estro artistico da valorizzare in campo internazionale, allora vuol dire che lo Stato – così com’è presentato all’attenzione dei cittadini meno abbienti – è condizionato da una schizofrenia patologica nei suoi stessi apparati, che si mostrano aggressivi con le “ultime ruote del carro” e teneri con chi si ritiene possa rappresentarne “il marchio” e “l’immagine”. Fortunatamente esistono giudici che nello Stato riconoscono il Diritto e non il Brand, fortunatamente esiste ancora chi crede che le tasse servano a garantire i servizi ai cittadini indipendentemente dalla loro posizione sociale, fortunatamente esiste ancora un Paese che s’indigna e protesta, richiedendo i giusti risarcimenti per un’identità messa continuamente a repentaglio da una classe dirigente che tenta in continuazione di ristabilire un regime aristocratico.
In un momento storico delicato, sia a livello internazionale che nazionale e locale, con l’economia che va a rotoli e tutti (compresa Paola) s’arrabattano in contorte gestioni di dissesti sistematici che comportano una riduzione dei diritti acquisiti nel tempo, questa sentenza infonde fiducia. Come infonde fiducia l’atteggiamento riservato a quegli squallidi applausi riservati agli assassini di Federico Aldrovandi.Bisogna “credere” nello Stato ma è necessario che gli atteggiamenti si tramutino in azioni. Come già scritto un anno fa: «Bello sarebbe andare nei negozi che mercificano il brand dei due stilisti e pretendere gli abiti più costosi che ci sono, piccoli rimborsi immediati di un futuro tarpato, per trascorrere insieme – ed orgogliosamente – la giornata più griffata di ogni tempo. Dopodiché unire ogni vestito con un nodo e farne la fune più costosa del mondo da usare per legare insieme tutti i disservizi dello Stato in un’unica nassa da lanciare fino alle casse in cui sono custodite le evasioni di Dolce & Gabbana e di tutti quelli come loro».