malata di cancro

[DISUMANITÀ] Lei, malata di cancro, è clandestina: RESPINTA a Fiumicino

Questa storia, accaduta pochi giorni fa, è frutto della testimonianza di una lettrice extraregionale che ha scelto le colonne del Marsili per amplificare il grido di dolore e la disperazione che aleggia attorno ad una vicenda che pone – ancora una volta – sotto accusa il sistema dei respingimenti alle frontiere dell’opulenta Europa.

Sicuramente i clandestini che da anni sbarcano sulle coste o che tentano di entrare da altri ingressi (in questo caso un aeroporto), sono un fenomeno da controllare con accortezza. Tuttavia, flessibilità e natura umana impongono di effettuare delle distinzioni nelle scelte da operare, cose che – come la testimonianza (purtroppo non integrale per ragioni di spazio) di Viviana Altadonna denuncia – non sono state tenute in nessuna considerazione nel caso della giovane donna malata di cancro e di suo marito, venuti in Europa alla ricerca di una Sanità che in Syria non esiste.

 

Una di quelle storie che si apprendono a brani, attraverso voci concitate al telefono, interrotti dalla continua ricerca di una associazione capace di impedire l’ennesima deportazione, di un avvocato che possa fare almeno ricorso contro il respingimento, di qualcuno che possa fare applicare la legge, semplicemente ammettendo, chi ne avrebbe diritto, ad una normale procedura di asilo.
Una di quelle storie che mozzano il fiato, come quando si apprende che una imbarcazione si è ribaltata e che i migranti, anche donne e bambini sono annegati in mare. Anche in questo caso una persona è “annegata” nel mare della disumanità , è quasi scomparsa nel nulla, un nulla, un “annientamento” voluto da chi neppure ha avuto un brandello di attenzione per la dignità umana o almeno di rispetto per la legge e per le Convenzioni internazionali.

Erano giunti a Roma Fiumicino con un volo dalla Turchia, due giovani siriani, lei una ragazza di appena diciotto anni gravemente malata per un tumore maligno. Si erano imbarcati verso l’Italia, in aereo in Turchia, con documenti falsi, come sono costretti a fare oggi molti siriani, dopo che il passaggio dall’ Egitto e dalla Libia è diventato troppo pericoloso, per gli arresti che possono diventare veri e propri sequestri di persona e per la corruzione dilagante. Dopo che il Mediterraneo, solo nell’ultimo mese, ha stroncato oltre mille vite umane, il doppio delle vittime registrate nei primi sei mesi dell’anno.

La coppia di siriani, assieme ad altri connazionali, erano arrivati a Fiumicino aeroporto il pomeriggio di lunedì 6 ottobre scorso, quando si erano appena chiuse le commemorazioni per la strage del 3 ottobre 2013, a Lampedusa, dove tutte le autorità hanno esibito le loro buone intenzioni per nascondere le cattive prassi che stanno ulteriormente inasprendo in queste ultime settimane.
Subito dopo lo sbarco dall’aereo, nella zona dei controlli di frontiera di POLARIA erano stati scoperti, separati, mentre gli uomini subivano un trattamento assai pesante, con spintoni e botte per imporre la identificazione, come sarebbe confermato da alcune telefonate, questa giovane donna veniva separata a forza dal marito e rinchiusa a digiuno per un giorno in un locale della polizia nella zona transiti, per essere reimbarcata il giorno successivo, martedì 7 ottobre, su un volo diretto in Turchia. Il marito veniva invece arrestato, non si sa con quale accusa, ma dopo alcune ore, quando la moglie era già ripartita, veniva rimesso in libertà. Arrivava nelle stesse ore a Roma un parente che aveva già in corso la procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato, in un paese del nordeuropa, e si attivava una rete di solidarietà che però fino a questo momento non è riuscita a sapere neppure dove si trova la donna deportata dalla polizia italiana in Turchia. Secondo le ultime notizie sembrerebbe che le autorità turche stiano tentando di trasferire la donna in Libano.

Dalle prime notizie frammentarie giunte in Italia, attraverso i parenti, sembrava addirittura che le autorità turche, volessero rimpatriare in Siria questa donna che in quel paese correrebbe rischi mortali. Ma anche se la trasferissero in Libano, nelle condizioni in cui si trova si troverebbe esposta al rischio della vita. L’ Italia e la Turchia sono direttamente responsabili dei trattamenti inumani e degradanti inflitti a questa donna.

Quanto successo alla frontiera aeroportuale di Fiumicino rende ancora più urgente l’apertura di canali umanitari, e la necessità di un sollecito rilascio dei visti per ricongiungimento familiare o per motivi umanitari, come la grave malattia della donna avrebbe comunque imposto ed impone ancora oggi. Un impegno che il ministero degli esteri italiano non può eludere e che deve tradursi nell’immediato rilascio di un visto di ingresso ad una persona, una persona gravemente malata peraltro, che a Fiumicino ha subito un abuso tanto grave da parte della polizia italiana e che adesso per effetto di questo abuso si trova in Turchia  esposta ad un grave pericolo di vita o al rischio di subire trattamenti inumani o degradanti.

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