offesa di genere

Una bottiglia conta più che un’ offesa di genere

di Fabrizio Di Buono

Ci sono giorni in cui una persona vuole staccare con il quotidiano e, così, decide di partire, di andare non molto distante da casa, di mettere indosso le lenti da viaggiatore. In questo modo il treno regala paesaggi, a tratti belli a tratti orrendi, ma, ricordiamo, non vogliamo rovinare la giornata, vuole essere diversa – anche se non si ha chiaro il concetto di diverso, forse è semplicemente allontanarsi dal quotidiano – quindi li chiameremo “paesaggi bizzarri”; si prende il traghetto e si ricorda che tutto sommato sembra di attraversare il Tejo o il Bosforo, se non fosse per le due città e il paesello che non sono Lisbona o Istanbul, ma sono Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni, decisamente diverse da quell’immagine poetica che si ha in testa, possiamo dirlo, sono niente di speciale, anzi, abbastanza “bruttarelle”. Ma abbiamo detto che non dobbiamo rovinarci il viaggio, quindi ci rifugiamo anche in immagini mitiche, viviamo lo stretto come se fossimo degli Ulisse – per carità, non quello della fiction Rai che sta martoriando il mito – pensiamo al fascino che c’è nel lasciare tutto ciò che attaccato al continente per attraccare sull’isola, per un attimo ci sentiamo nella terra di nessuno, nel silenzio della vita del mare – che non è silenzio, ma è vita – sospesi tra ciò che lasciamo alle spalle e la costa da raggiungere, come se non sapessimo cosa ci aspetta all’arrivo. Insomma un bel ragionamento, una bella fantasia legata alla realtà dello stretto, perché il Tejo e il Bosforo sono più o meno così per davvero. All’arrivo, l’attesa e la buona compagnia, e la giornata prende il verso giusto nel “sali e scendi” della città. Gli occhi del viaggiatore si nutrono, l’animo dell’amico si riempie di racconti e comprensione e poi si giunge all’istante del distacco, con abbracci interminabili, dicendoci che Messina, tutto sommato, non è così male (e il merito lo diamo ad Accorinti: sì, non lo nascondiamo, parteggiamo per lui ed è un peccato non averlo incontrato per caso durante la passeggiata).

Salpare tra le due terre è più malinconico questa volta, ma la giornata non è finita. Villa San Giovanni, biglietto e via, si riparte verso casa. Le stazioni si succedono, il treno si affolla e si svuota. Salgono un gruppo di lavoratori, un po’ su di giri: saranno le vacanze, sarà stato qualche bicchierino fatto, sarà la gioia di rientrare a casa, esuberanti si siedono nel vagone in cui siedo. Si capisce subito che l’esuberanza è di quelle stronze, ossia è dedita a mostrare la virilità del maschio su chi gli siede vicino, una ragazza in questo caso, ed ergendosi a capobranco (stiamo parlando di cinque o sei persone). Diventa cafonaggine. “Sediamoci qui, la compagnia è buona”; “Sambrancì, signorì come sei bella”; “piglia nu panettone ca festeggiamo” e così via. Aperto il panettone che il gruppo portava, il soggetto in questione continua con gli apprezzamenti rivolti alle ragazze sul vagone, che non degnano di uno sguardo il “supercafone” e rifiutando le offerte culinarie che il menu offre. Arriva la capotreno e gli apprezzamenti cadono a pioggia anche su di lei, appellandosi sempre al santo a cui la Calabria dice di essere devota. Si chiede il biglietto e il cafone risponde “lo vuoi vedere, lo vuoi vedere… Il biglietto”. Si passa sopra anche a questa. Una ragazza, stanca, si alza e va via. Lo fa presente alla capotreno, che ritorna e denota le facce perplesse dei pochi presenti e quelle esuberanti del gruppo. Il bifolco, nel frattempo, aveva stappato una bottiglia di spumante: c’è il divieto, ma il maschio deve dimostrare di essere capobranco, che certe cose valgono per gli altri ma non per lui. Con tacito consenso del gruppo, il giovane cafone stappa e rimette in scena il copione che ha preceduto. Ritorna la capotreno – accolta con apprezzamenti, come abbiamo detto – che questa volta, lo sbatte fuori: gli alcolici non si possono bere e le molestie non sono più gradite. La pazienza di attendere la discesa dal treno dei soggetti si è esaurita. È qui che si verifica l’apoteosi del maschilismo e della sopraffazione della figura femminile, che si estende ai tutori della legge. La capotreno chiama la Polfer che arriva, preleva il soggetto e lo porta via. I “compari” del cafone reclamano che era solo per una bottiglia, non aveva detto niente, aveva solo “scherzato” con qualche apprezzamento con le ragazze che si trovava davanti, “ma era giusto per scherzare, ora non si può dire più nulla”. Scherzare vuol dire “ti penserò tutta stanotte”, “andrò a dormire col tuo pensiero”, “era tuo papà al telefono, non mi permetto, ma se era il tuo ragazzo ni pigliavamu (se era il tuo ragazzo ci prendevamo) a cazzotti oggi”; scherzare vuol dire infastidire un vagone con l’esibizione della danza del pollo che si pavoneggia, ma ha sembianze da pollo. Alle lamentele dei “compari” – “il ragazzo non ha fatto niente, fatelo tornare a casa… Per una bottiglia”, problemi di insulti non ce ne sono – il poliziotto, anziché rispondere che determinati comportamenti non sono ammessi, strizza l’occhio al compare e va via, con il cafone che dovrà viaggiare sul treno successivo. Alcuni dei compari avranno famiglia a casa, avranno figlie, forse, che se un giorno dall’equivalente del cafone in questione (rimasto a Lamezia) dovessero subire lo stesso trattamento delle ragazze di cui abbiamo appena parlato, dovranno sperare in una degustazione di alcolici sul treno, perché per il loro marito o padre, importunarle sarà consentito e lui non muoverà un dito contro il cafone. La coscienza del gruppo era quella di non offendere nessuno, ma è normale dire ad una ragazza appena vista che verrà sognata tutta notte e che è “proprio carina”, col grugnito di un porco più stridulo e meno sensuale.

Il viaggio com’è finito? Bello pensare a qualcosa di diverso, ma l’immaginazione in Calabria non fa molta strada, soprattutto se questa è ferrata e i paesaggi da immaginati bizzarri sono realmente orrendi, perché abitati da persone per le quali il problema è la bottiglia e non la molestia. Il viaggio finisce con questa battitura.

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