Ad undici anni dall’inizio della lunga sequela di recinzioni, sbancamenti, promesse e promozioni, la triste vicenda del cantiere in “allestimento permanente” riservato alla costruzione del futuribile “Porto” che nel tempo è stato virtualmente presentato e vissuto come “di Paola”, “dei Normanni” e, dulcis in fundo, “Marina di San Francesco”, è stata momentaneamente sospesa.

Con lo smantellamento del reticolato metallico, che ha trasformato la zona sud del Lungomare cittadino in una piccola Berlino da Guerra Fredda, Paola è potuta tornare finalmente ad ammirare l’orizzonte. Il muro di grate – neanche buono da imbrattare con qualche artistico murales – che ha recluso un bel tratto di spiaggia ed ha concesso a chiunque la possibilità dell’esperienza visuale del “sole a scacchi” (tipica immagine che vivono i carcerati), andrà ora a estivare in qualche deposito, forse attendendo future riedizioni.
Sebbene i cittadini abbiano sempre auspicato che tale rimozione fosse derivata dalla conclusione dei lavori di edificazione di una struttura presentata, ripetutamente, come “strategica” per l’economia locale e per l’indotto territoriale che ne sarebbe conseguito, ogni paolano ha vissuto con sollievo l’eliminazione di un limite visivo che rischiava di diventare anche mentale. Perché quella recinzione, detto in termini molto spiccioli, rappresentava l’incarnazione materiale di un’immensa balla, codificata in uno dei primi cartelli informativi del cantiere che recitava testualmente: «Costruzione Porto Turistico»; ma che, sostanzialmente, era soltanto l’Ostruzione di un “furto” stilistico.

Perché lo stile di Paola, sbeffeggiato da quell’ignominiosa staccionata, s’era diluito ai canoni bellici del Nordafrica e di tutti gli scenari infiammati dell’attuale Medioriente.
Frutto della mentalità amministrativa del secolo scorso, ispirata dalla convinzione che ogni opera – purché “pubblica” – avrebbe potuto costituire più che un’occasione di rilancio, un bacino di immediato lavoro (e conseguente consenso elettorale), il “Porto” di Paola è subito diventato la rappresentazione della decadenza e dell’indecenza progettuale di certi esecutivi, superati nella smania “del fare” persino da un piccolo comune limitrofo che, con una valanga di pietre, s’è ritagliato un ricovero a tutt’oggi appetibile per chiunque abbia un natante. Senza considerare l’imponenza strutturale e tangibile di Cetraro ed Amantea.
Nelle campagne mediatiche studiate ad hoc per imprimere nella cittadinanza il senso di questa mastodontica presa per i fondelli, ci fu addirittura il sondaggio per stabilire il nome del porto, proposto con la divulgazione di una miriade di volantini da raccogliere in apposite cassette. Poi comizi ed elezioni e di nuovo: balle.

L’ultima, in ordine di tempo, risale al 2012 – anno d’insediamento di Basilio Ferrari – con la “nuova” società tripartita tra il comune di Paola e i privati Nigro e Cicalese, che aveva annunciato il prossimo inizio dei lavori. Forse sincronizzando il calendario sul tempo di un pianeta diverso dalla Terra, dove i giorni si contano in mesi ed i mesi in decenni.
Oggi, con molta naturalezza, il sindaco che dai palchi sbandierava mandati di pagamento e promesse di cambiamento, palesa una retromarcia proponendola quasi come avanzamento con queste parole: «Abbiamo chiesto ed ottenuto dalla Società Marina di S. Francesco la rimozione della recinzione dell’area portuale sino alla data dell’effettivo inizio dei lavori al fine di restituirla nel frattempo al pubblico utilizzo e consentire un’adeguata pulizia della spiaggia. Buon bagno».
Lasciando perdere la schizofrenia insita nell’espressione iniziale, dove il comune “chiede” un favore ad una società di cui è parte al 30% (con una quota che lo pone al secondo dei tre posti societari), ciò che suona come ulteriore presa per i fondelli è la frase conclusiva. Quel «Buon bagno», che sa tanto di invito ad andare al Wc, unico posto dove – probabilmente – possono essere annacquate simili evacuazioni dialettiche.