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Paola presentata come « Paese di merda »: i turisti scappano

«Deve morire questo paese di merda. Bastardi, 11.30 del mattino, 3 agosto, benvenuti a Paola. Benvenuti. Paese di merda». Impresse in uno dei video nei quali Roberto Pennestrì – gestore dello stabilimento balneare “Holiday Beach” che lunedì scorso ha dato sfogo alla sua rabbia “invadendo” i binari della vicina ferrovia – queste parole hanno fatto rapidamente il giro del web.

Secondo le cifre diramate dal diretto interessato: «in 24 ore circa 35.000 visualizzazioni, due video che raccontano la mia disperazione, il famoso embolo scoppiato».

Peccato che “il famoso” embolo, nella sua esplosione, non abbia tenuto in conto alcuni fattori. Primo fra tutti “il” problema che lo ha scaturito. Il mare sporco, ignominioso e repellente fenomeno con cui la costa tirrenica cosentina sta trovandosi a fare i conti, non è un argomento di oggi né tantomeno è questione che le istituzioni starebbero prendendo sotto gamba.

Infatti, negli stessi minuti in cui andava in scena la clamorosa performance di dissenso, presso il palazzo della Regione si stava svolgendo un importante incontro tra una delegazione dell’amministrazione comunale paolana ed i referenti del governatore Oliverio. Oggetto dell’appuntamento sono stati i soldi da investire nella depurazione. È vero, poco più di 150.000 euro da riservare al depuratore di Paola, significherebbero – si e no – il rifacimento della rubinetteria. Ma se mai si comincia, mai si giunge a conclusione.

In aggiunta bisogna dire che, nel pomeriggio di quello stesso giorno di scoordinata protesta, presso il Sant’Agostino c’è stato un summit tra personalità di rilievo della Marina, professori universitari e amministratori locali, nel quale sono state discusse tutte le possibili concause dell’inquinamento. Prospettando un quadro “a tinte fosche”, gli esperti hanno parlato delle correnti del mare, della pesca a strascico e della massiccia sparizione di flora marina dagli specchi d’acqua antistanti il litorale. Tutti argomenti per i quali, le tempistiche di risoluzione sono state ipotizzate in più di una decade d’interventi. Grave la situazione in cui versa la “poseidonia oceanica” – pianta che ha una notevole importanza ecologica – ridottasi del 50% lungo il Tirreno cosentino. Gravissima la situazione del materiale depositatosi sul fondo del mare nel corso di anni di sversamenti, che smosso dai pescherecci a strascico, risale in superficie trasportato dalle correnti e, amalgamato dalla calura estiva, viene spinto sotto costa.

Cavalcare la tigre dell’indignazione è senz’altro un modo sensazionale di porre il problema ma, forse, sarebbe stato il caso di farlo allorquando la politica non aveva ancora regolamentato gli scarichi abusivi, quando il soldo era facile da avere in tasca e pochi si ponevano il problema di affittare un ombrellone. Oggi, in questa situazione, sarebbe stato probabilmente più efficace una comunicazione mirata (così come sarebbe dovuto accadere per l’iniziativa, forse troppo esageratamente intitolata: “Capitale dei Tumori”). Almeno per rispetto di tutti quegli altri operatori che, dopo tutte quelle visualizzazioni, si sono visti piovere addosso una caterva di disdette. Forse per questo, da loro, non è giunta solidarietà. Forse perché loro non vogliono che questo paese «deve morire».

About Francesco Frangella

Giornalista. Mi occupo di Cronaca e Politica. Sono tra i fondatori del Marsili Notizie ed ho collaborato come freelance per varie testate.

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