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VIDEO – Di Sangineto “invasa” nel nome di Angelo, cane morto ammazzato

Di Angelo, di angeli e di demoni

Chi maltratta un cane maltratta anche la storia del genere umano, tradisce un patto, fatto un giorno tra un uomo e un lupo, antico decine di migliaia di anni che ha sostenuto la sopravvivenza umana.

Il 25 giugno a Sangineto 4 ragazzi torturarono a morte un cane impiccandolo e colpendolo con una pala. La cosa sarebbe finita lì probabilmente se gli stessi autori del folle gesto non si fossero ripresi e non avessero pubblicato un video online, dove chi interviene si esprime in un non luogo e gli interventi sono soggetti a giudizi “esotici”, perché in rete non trovi solo un compare Ciccio qualsiasi che dice «è stata una ragazzata», in rete trovi il mondo intero, fatto di persone che appartengono a società in evoluzione libere dalla staticità intellettuale tipica dei paesini non rigenerati che, numerosi in Calabria, per forza di cose stanno lentamente morendo. Luoghi dove i maltrattamenti sugli animali non sono casi isolati, come quello accaduto in Toscana, ad esempio, dove il sindaco di Pescia ha indetto lui una manifestazione sotto la casa dell’uccisore di Pilù, il pincher, anche lui torturato a morte.  Si deve riconoscere infatti che tutti, chi più e chi meno, abbiamo dovuto assistere ad atti di maltrattamento, perché da queste parti è un’attività piuttosto diffusa e troppo spesso consentita senza troppe rimostranze. E non si deve pensare che questo tipo di atteggiamento è tipico o esclusivo di classi sociali in difficoltà perché è un tratto culturale eterogeneamente diffuso, anzi persiste maggiormente in quelle menti dove la presunzione è stata impressa dall’occupazione di un posizione “sociale” di rilievo. Chi scrive, ad esempio, circa un paio d’anni fa ha assistito ad un investimento volontario di un cane. La bestiola, un randagio come ce ne sono tanti, troppi, stava gironzolando in tutta tranquillità per le vie di un piccolo centro del tirreno cosentino, quando un cacciatore del luogo (bisogna infatti evidenziare che, spesso, gli autori di questo genere di crimini, coerentemente, hanno anche la passione della caccia), puntando il povero cagnolino che nel frattempo si era stretto, serrando gli occhi, al muretto che costeggiava la stradina, ci è passato sopra col mezzo. Ebbene alla scena era presente il sindaco di quel paesino il quale, successivamente alle sollecitudini ad intervenire, invece di esercitare, come legge impone, il suo dovere di pubblico ufficiale, allargando le braccia giustificava se stesso, il cacciatore e probabilmente tutti i suoi cittadini, con la frase “cà simu nu poco serbaggi” (qui siamo un po’ selvaggi).

Le raccapriccianti immagini che ritraggono i sanginetesi mentre seviziano e uccidono il povero cane, sono comprensibilmente diventate oggetto di innumerevoli condivisioni passando sotto gli occhi di molti. Nei cinque mesi trascorsi dopo, il caso, ha avuto un crescente riscontro mediatico con l’attribuzione del nome Angelo alla povera vittima e culminando in un servizio mandato in onda, qualche settimana fa, dalla trasmissione Le iene. Il video mostra l’inviata, Nina Palmieri, mentre tenta invano di avvicinare gli indagati per ottenere delle dichiarazioni. L’immagine che Sangineto dà in quel servizio è qualcosa che ad un cittadino medio europeo del 2016 può apparire surreale, perché, tra omertà, minacce e tentativi di aggressione tamponati dagli uomini della Benemerita, la troupe di Mediaset è dovuta andare via dal paese scortata da un’autopattuglia. Questo nuovo faro acceso sulla questione ha ulteriormente riscaldato gli animi acutizzando i sentimenti di indignazione e di rivalsa.  Diversi enti animalisti tra cui il Pae (partito animalista europeo) di Roma e l’associazione Noita (nucleo operativo italiano tutela animali) di Trapani , nei giorni successivi, hanno organizzato una manifestazione, sostenuta da varie autorità tra cui il Presidente del Senato Pietro Grasso, che si sarebbe dovuta svolgere a Sangineto. Tra le iniziative atte a pubblicizzare l’evento, successivamente ad una raccolta fondi, si fecero stampare ed affiggere per la provincia di Cosenza alcuni manifesti formato 6X3 contenenti oltre alle foto dei 4 aguzzini, l’invito a partecipare. Enrico Rizzi, presidente dell’Onlus Noita, ci ha fatto sapere che a Bonifati (comune confinante con Sangineto), neanche 24 ore dopo l’affissione, il 6X3 venne oscurato e che successivamente l’agenzia incaricata venne contattata dallo stesso comune per diffidarla dall’affiggere nuovamente il manifesto. Rizzi ci informa inoltre che, dopo avere fatto regolare comunicazione della manifestazione alle autorità competenti 20 giorni prima, il Vice Questore Pietro Gerace, lo contatta il 24 novembre per convocarlo a Cosenza dove si sarebbe dovuta tenere una riunione per l’organizzazione dell’evento. L’invitato risponde che, trovandosi lui a Trapani, non gli sarebbe riuscito semplice presentarsi alla riunione. Di conseguenza, il giorno successivo (quindi il giorno precedente alla manifestazione), la Questura di Cosenza provvedeva ad inviare a Rizzi un documento recante le disposizioni da seguire per l’evento previsto. Nel documento si legge che si autorizzava lo svolgimento della manifestazione per le vie di Sangineto lido considerando il numero di partecipanti superiore alle migliaia. Il 26 novembre a Sangineto sono arrivate da tutta Italia – chi dopo un viaggio durato decine di ore a bordo degli autobus organizzati, chi avendo investito una somma notevole per aver scelto il viaggio in aereo, chi raggiungendo la località con l’auto – circa in 500 per manifestare. Queste persone al loro arrivo si sono trovate di fonte ad una scena a cui, a detta loro, pur avendo partecipato a innumerevoli manifestazioni animaliste in giro per l’Italia, non gli era mai capitato di assistere. Perché il paese di Sangineto era stato letteralmente asserragliato da mezzi e uomini della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia Forestale. Ad ogni accesso della SS 18 e in corrispondenza di ogni strada che da Sangineto Lido conduce su in paese erano presenti posti di controllo delle autorità che indicavano il percorso da seguire. Dai primi momenti, una buona parte dei manifestanti – accolti anche da alcune decine di sanginetesi muniti di striscioni che davano loro il benvenuto e che riportavano frasi in favore dell’inasprimento della pena per i reati di maltrattamento – ha cercato di intraprendere la strada per raggiungere il paese. Ma rapidamente la cosa è stata impedita dallo schieramento di un cordone antisommossa costituito dai reparti celere di Polizia e Carabinieri spalleggiato addirittura dalle camionette delle stesse autorità (roba che nemmeno le riunioni del g8) che ha contenuto una folla recante striscioni antiviolenza costituita soprattutto da donne tra cui molti pensionati. Uno dei promotori, considerata l’impossibilità di trovare un compromesso, ha annunciato anticipatamente lo scioglimento della manifestazione. Alcune persone, deposti gli striscioni, hanno deciso di voler comunque raggiungere il paese, ma la cosa gli è stata impedita dalle forze dell’ordine che, giungendo a sirene spiegate, hanno nuovamente bloccato gli accessi. Più tardi la situazione si è ulteriormente animata perché alcune persone hanno occupato la SS 18 per quasi 2 ore costringendo il traffico proveniente da sud alla deviazione in corrispondenza di Guardia Piemontese. Proprio mentre era in corso il blocco dall’arteria stradale, uno dei promotori della manifestazione, il siciliano Enrico Rizzi, con megafono alla mano ha comunicato che pochi minuti prima un dirigente della Questura avrebbe definito i manifestanti dei “criminali organizzati”. Lo stesso Rizzi ci ha informati di aver avviato, allegando le prove video, le dovute procedure legali anche per il fatto che alcune autorità avrebbero fotografato con i cellullari personali i documenti dei manifestanti anziché registrare le generalità, come da prassi, attraverso la compilazione dei moduli autorizzati.

Nel video dei sanginetesi si vede la povera creatura morire tra atroci sofferenze senza emettere neanche un lamento ma continuando a scodinzolare a chi, tra risate e battute sarcastiche, con irragionevole violenza stava mettendo fine alla sua vita. Un’immagine evocativa del concetto cristiano per eccellenza perché è tipico dei Santi porgere sempre l’altra guancia, e concedere il perdono in punto di morte a chi la sta provocando. Come un Cristo sulla Croce Angelo ha squarciato un velo che sembra continuare a lacerarsi ogni volta che arriva qualcuno a cercare di fare luce sulla vicenda. Perché nel frattempo Angelo, e con lui Sangineto, sono diventati il simbolo di una lotta che gli animalisti portano avanti con la speranza di ottenere un inasprimento delle pene relative a questo tipo di reati. Bisogna infatti evidenziare che, qualora gli autori del reato venissero rinviati a giudizio, anche se la sentenza li condannasse alla massima pena prevista dalla legge, grazie alla sospensione della condizionale, per loro, non ci sarebbe la detenzione. Può davvero definirsi civile un paese che garantisce codesta impunibilità a chi si macchia di crimini tanto gravi? Secondo gli animalisti no.

A Paola, di fianco alle foto dei quattro assassini, gli occhi di Angelo sono ancora li, su di un manifesto che ha resistito a forti intemperie, a ricordare che è quanto meno paradossale che tutto ciò accada in una regione dove si porta in alto il nome di un Santo eletto patrono che, nel 1400, per amore verso la vita impose al suo ordine il divieto di nutrirsi di animali e dei loro derivati. Una regione che nel 2000 rappresenta una delle realtà nazionali a più alta criticità in materia di benessere e tutela degli animali.

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