acqua calabria

A chi gestisce l’acqua calabrese: siamo zona rossa, coi rubinetti a secco!

C’è “esasperazione” quando, al 9 di Novembre di un anno così “particolare”, nelle case di tanti cittadini manca l’acqua.
Per lavarsi le mani, per avviare una lavatrice, per preparare da mangiare. Niente.

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Da giorni, settimane, l’acqua va e viene senza orari prestabiliti (anche se dopo un po’ d’esperienza è possibile individuare una certa ciclicità) e per periodi sempre più lunghi.
È dura da sopportare, soprattutto nella pesantezza di una “zona rossa” che impone comportamenti da lockdown, stando chiusi in casa per la maggior parte della giornata. Senz’acqua.
È triste, soprattutto perché una siffatta condizione rende “abituale” la sofferenza, uno stato che impedisce di godere finanche della pubblica gogna cui è adesso esposto il sistema di potere che gestisce questa regione.


L’acqua è il primo indicatore di “salute pubblica”, non averla nelle case mentre tutto intorno è emergenza, rende perfettamente l’idea di cosa siamo. Non c’è bisogno di nessun Cotticelli “sotto effetto” (di cosa, ce lo dirà il dottore cui si rivolgerà per una diagnosi) e di nessun mimatore di situazioni da contagio come Zuccatelli, lo ricordiamo tutti i giorni.
Siamo gli ultimi degli ultimi, più ultimi ancora perché, oltre ad avere una sanità che non è in grado di prendersi cura di noi, non abbiamo nemmeno l’acqua nelle case per prevenire la parte più corposa del rischio.
Una vergogna che non si esaurisce mai: da quella di Pallaria, che a marzo dirigeva la protezione civile regionale e non sapeva nulla riguardo a fondamentali dispositivi di sopravvivenza, a quella di Cotticelli, di Zuccatelli, di Spirlì e compagnia cantando, fino a giungere a cascata su tutto il resto, da quelli che materialmente si occupano della distribuzione a coloro che ne curano gli aspetti amministrativi locali, lo spettro vergognoso fa un giro che si ricongiunge sempre a noi stessi.


Perché la colpa è (anche) nostra, delle nostre scelte e della nostra abitudine al dolore, stratificata da anni e anni di supina sopportazione della bruttezza, della sopraffazione, della “legge della giungla” che è stata più forte della Costituzione italiana.
Ieri sera, da Giletti, parlando della Calabria ho sentito più volte rivolgerci epiteti tipo: “quella terra”, “quel popolo”; come se questa regione fosse avulsa dalla nazione italiana. Come se chiunque venisse qui, lo facesse per una sorta di safari, dove un Generale dei Carabinieri, epicamente, ha tentato l’impresa in una realtà che si fa fatica a chiamare Italia.
Fino a quando i difetti prevarranno sui pregi, saremo destinati ad affrontare la nostra esistenza con una grossa palla al piede, quella di essere davvero i calabresi che hanno fatto paura al commissario Cotticelli. Quelli che convivono con un qualcosa che, seppure in una forma liminale al delirio, è stata comunque percepita dal discorso andato in onda. La sopportazione al dolore e la propensione ad impartirlo.
Sarebbe opportuno smetterla di ridere o piangere sulle nostre disgrazie, forse è il momento di prendere atto che anche lo sfacelo ha un suo limite. Sarebbe bello se si cominciasse dall’acqua.

Saluti da Paola, Città della Calabria.

About Francesco Frangella

Giornalista. Mi occupo di Cronaca e Politica. Sono tra i fondatori del Marsili Notizie ed ho collaborato come freelance per varie testate.

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