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Paola – Il Covid non è “un posto” e nel Centro Storico non sono sprovveduti

In un clima da “zona rossa” regionale, è quanto mai superfluo ribadire che la minaccia Covid è la stessa per tutti. Per calabresi, lombardi, piemontesi, altoatesini e valdostani, lo è un “po’ di più” ma, sostanzialmente, le problematiche sono pressappoco identiche in ogni parte del mondo (Cina esclusa).

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Il contagio da coronavirus, difatti, è un’eventualità che – finanche nel rispetto delle prescrizioni – ha caratteristiche del tutto casuali, indipendenti dalla volontà di ciascuno (a meno che non si considerino visioni autolesionistiche come quelle dei “negazionisti” e si partecipi allegramente ai covid party basati sugli assembramenti volontari).

Può capitare a chiunque e in ogni situazione, in ogni contesto, e solo il buon senso e la prevenzione aiutano ad evitare ulteriori complicazioni.

Quindi è da attribuirsi al buon senso di qualcuno se il potenziale nucleo di diffusione, che s’è acceso nel Centro Storico di Paola, è stato contenuto. Qualcuno che ha “fatto da solo”, perché come spesso si è sentito raccontare, nel momento del bisogno è davvero difficile poter contare sulla rete di protezione promessa dalle istituzioni.

L’attenzione ai quartieri che compongono la parte sommitale di Paola, lo zoccolo duro di case che hanno secoli di storia e custodiscono l’anima più vera dell’intera comunità, si è focalizzata per la premura con cui – quasi in totale autonomia – un intero nucleo familiare ha saputo reagire alla notizia che oggigiorno nessuno vorrebbe.

Perché con sensibilità e altruismo, una volta scoperto il caso di positività che ha generato una concatenazione davvero ristretta di effetti su altri soggetti, tutti i componenti della famiglia sono entrati in modalità “lockdown domiciliare”.

Non senza la sofferenza della separazione, perché qualcuno deve pure prestare assistenza in questi momenti (soprattutto se l’età anagrafica delle persone colpite è tale da tenere sempre vigile la preoccupazione), qualcuno come una giovane mamma, adesso costretta a salutare i suoi figli soltanto in videochiamata. Un sacrificio che si replica in ogni realtà attraversata dal covid, in ogni casa dove esiste ancora il senso della famiglia, in ogni quartiere che si stringe attorno a chi soffre. Proprio come capita nel Centro Storico di Paola, dove la solidarietà tra vicini non è mai mancata e le case sono attaccate l’un l’altra come quelle dei presepi più belli.

In questo contesto, a fare davvero rumore, sono  le risposte del sistema che dovrebbe tutelare ogni cittadino, quelle dei call-center raggiungibili dopo svariati tentativi, quelle delle strutture che a fronte di cento tamponi disponibili si ritrovano due o trecento richieste da soddisfare, molte delle quali provenienti da interessamenti terzi, spesso e volentieri altisonanti esponenti della comunità.

Ecco, in un contesto siffatto, fa notizia una famiglia che perlopiù a “proprie spese”, si è presa la briga di verificare i suoi componenti, perché quando al sospetto è sopraggiunta la certezza, era già tutto pronto per contenere al meglio (e si ribadisce: autonomamente) la situazione.

La storia che “se fai il tampone e non ti chiamano, vuol dire che è tutto a posto”, in questo caso non ha retto. E un intero nucleo familiare (con relativi contatti), sta scontando – sulla propria pelle – il peso di una condizione che nessuno vorrebbe affrontare. Per fortuna accade nel Centro Storico di Paola, dove nessuno – se sei in difficoltà – si gira dall’altra parte.

 

*Nella foto in testa, il panorama dalla Torre che sovrasta il Centro Storico di Paola in uno scatto di Giovanni Carnevale

About Francesco Frangella

Giornalista. Mi occupo di Cronaca e Politica. Sono tra i fondatori del Marsili Notizie ed ho collaborato come freelance per varie testate.

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