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Paola – Rimozione del monumento Gravina: è giallo. Scandalo in vista?

Gentile redazione, nella speranza di non apparire presuntuoso, propongo una riflessione che gradirei veder condivisa sui canali del Marsili Notizie, perché è mio desiderio gettare le basi per un confronto dal quale, spero, possano emergere criteri diversi, rispetto agli attuali, per ipotizzare una via d’uscita che possa considerarsi davvero “salvifica” rispetto allo status quo.

Lo status quo è un presente fatto di premesse per un futuro “risicato”, altri cinque anni con la probabilità di un dissesto finanziario di cui i paolani, considerati i trascorsi, avrebbero fatto volentieri a meno, datasi la recente chiusura del quinquennio 2012/2017, fatto di lacrime e sangue per i fallimenti precedenti.

Fallimenti che si sono tramutati in minori e peggiorati servizi, in bollette alle stelle e ripercussioni nell’occupazione, col comune impossibilitato ad assumere e costretto ad essere amministrato col minimo indispensabile. Una vera sciagura, cui – date le premesse – alla prossima amministrazione sarà molto difficile sottrarsi.

Nella girandola di questo “volano di sottosviluppo”, con l’ente sull’orlo di un regresso che pare inarrestabile, ogni giorno si spezza qualcosa. Nella scorsa settimana si è spezzata la pazienza di una vedova, moglie di una vittima di mafia che, nel 1982, ha lasciato al mondo cinque figli. Luigina Violetta, fino al 25 marzo di 39 anni fa moglie di Luigi Gravina, assassinato per essersi opposto alla violenza dei clan, si è spezzata e si è consegnata, a pezzi, all’attenzione di tutti. Col garbo di una Donna fiera e la delicatezza di una Madre premurosa, ha spiegato il suo dolore, derivato dall’aver appreso di un imminente trasloco del monumento dedicato alla memoria, e al sacrificio, di suo marito Luigi.

Una decisione inaccettabile, avversata con dispiacere, perché mai si sarebbe potuta immaginare un’eventualità del genere. Soprattutto in virtù del fatto che l’attuale sindaco, Roberto Perrotta, ricopriva lo stesso ruolo nel 2004, anno in cui la scultura venne posata a Via Nazionale, all’interno di un terreno per il quale, oggigiorno, è in atto una vera e propria “resa dei conti” tra il proprietario e il Comune, con il primo a recriminare per accordi disattesi dall’Ente pubblico. Sintetizzando ai minimi termini: il padrone dell’area che a Via Nazionale funge anche da parcheggio e da valvola di sfogo per il traffico (altrimenti “strozzato” dalle auto in sosta su entrambi i lati della carreggiata), a quanto pare ne aveva concesso l’uso secondo patti che, oltre a riguardare gli aspetti di pulizia, illuminazione e sicurezza, vertevano anche sullo spostamento della scultura.

Data la sortita a mezzo stampa dello stesso Roberto Perrotta, che ci ha tenuto a dire che finché sarà lui sindaco la statua non si sposterà da dov’è, e considerato il post condiviso su Facebook da Francesco Gravina, figlio di Luigi, che ha reso noto di aver urtato e fatto cadere il cartellino con su scritto “Proprietà Privata”, malamente affisso alla catena subitaneamente tesa attorno al perimetro della scultura (all’interno del quale insistono due piante che il ragazzo, come ogni giorno, era andato ad innaffiare), pare proprio che nessun evento sia subentrato a interrompere lo stallo. Anzi.

In questo apparente “tiro alla fune”, dover prendere atto che il figlio di una vittima di mafia sia dovuto arrivare a scusarsi per aver fatto cadere un cartellino spuntato dal nulla, ma a quanto pare suffragato da “tutto”, è un pensiero insopportabile. Vuol dire che si è sovvertita la realtà.

Come se ciò non bastasse, è notizia di oggi la presa di posizione di Pino Falbo, capogruppo di minoranza con Progetto Democratico, il quale – facendo leva su incartamenti protocollati – ha rivelato l’esistenza di un accordo sottoscritto tra le parti, in cui il Comune si è impegnato «ad eseguire a propria cura e spese i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria della porzione concessa in comodato senza nulla richiedere al comodante in qualsiasi tempo e, dettagliatamente: rimozione della superficie interessata dalla targa in memoria di Gravina; posa cancello scorrevole; ripristino illuminazione; manutenzione del terreno con opportuno manto di materiale idoneo».

Secondo quanto riferito dal consigliere ex candidato a sindaco, il virgolettato di cui sopra apparterrebbe al punto 4 dello “schema di convenzione” approvato dalla giunta Perrotta nel 2017, un esecutivo del quale oggi l’unica superstite è la vicesindaco Marianna Saragò.

Però, dalla lettura del documento disponibile sull’albo pretorio online del Comune di Paola, nella fattispecie la deliberazione della giunta comunale n.136 del 20.10.2017 (disponibile qui), emerge uno scenario assai diverso rispetto a quello descritto da Falbo, perché nella sezione riservata alla scrittura privata tra le parti, il punto 4 è privo dei “dettagli”, specificamente manca il periodo che impone «rimozione della superficie interessata dalla targa in memoria di Gravina; posa cancello scorrevole; ripristino illuminazione; manutenzione del terreno con opportuno manto di materiale idoneo».

A questo punto c’è da riflettere sull’autenticità del documento richiamato, se è quello in possesso del consigliere Falbo o se è quello disponibile sull’albo pretorio online. Più di un indizio (dalla catena tesa senza nessuna opposizione o trattativa, fino all’epiteto “statuetta” riferito al monumento Gravina), induce a pensare che siano maggiori le probabilità che l’atto effettivo possa essere in mano al capogruppo di minoranza, lo stesso che ha il privato proprietario del terreno.

Questa eventualità, però, getterebbe un’ombra funesta sul Sant’Agostino, perché significherebbe l’edulcorazione di un atto deliberato in seguito a votazione unanime, con l’aggiunta di un periodo sicuramente “non votato” da chi all’epoca sedeva al tavolo dell’esecutivo. Già viene difficile immaginare il sindaco Perrotta che smentisce se stesso e la sua inaugurazione del 2004, ma figurarsi se l’ex vicesindaco Tonino Cassano, per 4 anni sotto scorta proprio perché nemico giurato della mafia, o tutti gli altri componenti di quella giunta fondata sulla cultura dell’antimafia, avrebbero avallato un simile abominio burocratico.

A questo punto viene da pensare ad una qualche “manina”, ma il solo sospetto fa tremare le vene ai polsi.

Nella speranza che venga fatta chiarezza, non si può far altro che assistere al montare di questo che, al momento, sembra presentarsi con tutti i tratti di uno scandalo.

Se c’è da assumersi delle responsabilità, questo è il momento. Poi sarà troppo tardi.

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