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Tirreno – Il calvario di Andrea per combattere la depressione

Grato al suo medico di base, che nel momento di maggior confusione ha rappresentato l’unico orecchio disposto ad ascoltare, Andrea (nome di fantasia) è un giovane uomo che, dal tirreno cosentino, ha voluto rendere pubblica un’esperienza attinente la sfera più intima di ognuno, perché rientrante nell’ambito che viene a crearsi allorquando subentra un problema di salute che sfugge agli strumenti diagnostici.

In un contesto caratterizzato da presidi territoriali strutturalmente deficitari, sia per quanto riguarda gli edifici che per ciò che concerne la scarsità di personale, Andrea ha incontrato diverse difficoltà prima di trovare la strada più idonea da seguire nel suo caso.

Le racconta nella lettera aperta che, firmata, ha inoltrato all’attenzione della redazione.

«Con questa mia lettera intendo esprimere sincera gratitudine nei confronti di una donna, medico di base, che a fronte di un servizio sanitario ormai rigido come un apparato burocratico, si è mostrata umana e comprensiva, offrendomi uno spiraglio di luce in un momento molto buio, caratterizzato da una profonda crisi depressiva.

A partire dagli scorsi mesi estivi, una serie di questioni personali e problemi di salute comparsi a funestare la tranquillità familiare, mi hanno gettato in uno stato di profondo sconforto, tale da diventare opprimente ed unico sentimento della quotidianità, aggravatosi fino ad indurmi a recarmi presso le strutture sanitarie di riferimento.

Ebbene, allorquando mi sono trovato ad affrontare il calvario dei consulti in corsia, la mia già fragile presenza presso gli ospedali dove mi sono recato, è stata spezzata e spazzata via con superficiali pareri, fatti di gocce per conciliare il sonno e consigli per una sana camminata all’aperto.

Arrivato al punto di non riuscire più a sollevarmi dal letto, restando inerme a guardare il buio anche per giorni, in un raro momento di lucidità sono riuscito a contattare la dottoressa Mariella Veneruso, che immediatamente ha preso in carico il mio caso ed in pochi giorni è riuscita a stabilizzare un quadro destinato ad arrivare al punto di non ritorno. Da medico di base mi ha poi indirizzato verso la giusta trafila specialistica da affrontare, rivelatasi un percorso salifico dove, altri camici bianchi – tra i quali ringrazio infinitamente il dott. Calabria e lo psichiatra dottor Alessandro D’Alessandro – hanno individuato le giuste contromisure da adottare.

Scrivo perché oggi sono qui a raccontarlo, perché ho avuto la fortuna di essere stato ascoltato e non liquidato con “due goccine” e un po’ di moto. Scrivo questa lettera per esprimere tutta la mia gratitudine a chi si è messo a disposizione per dare forma ad un malessere che sembrava non averne, a chi si è interessato alla mia persona ed al mio essere affetto da una patologia che troppo spesso viene derubricata a questione di poco conto, da curare con un analgesico. Purtroppo la diagnosi che mi è stata comunicata, non suggerisce questo rimedio.

Il problema per il quale ho inteso rendere pubblica la mia esperienza, consiste proprio nel muro di gomma contro al quale si va a sbattere quando i problemi di salute non sono quelli che escono dalle analisi del sangue. Ognuna delle strutture che ho visitato, è sembrata quasi fare spallucce, indirizzandomi verso soluzioni che sarebbero state soltanto inutili perdite di tempo. E il tempo, nella stragrande maggioranza dei casi simili al mio, è una variabile che gioca sempre a sfavore, e forse a tante persone che avrebbero potuto come me raccontare la loro storia, non gli è stato concesso. Sarebbe opportuno rivalutare i criteri con i quali si accoglie un paziente affetto da disturbi di natura psichica, soprattutto quelli che per la prima volta si trovano ad avere a che fare con la patologia, perché il rischio di perderli per sempre ha una percentuale molto elevata.

Grato per l’attenzione, ringrazio chiunque abbia compreso lo stato di sofferenza che mi ha indotto a richiamare l’attenzione su questa tematica».

(lettera firmata)

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