di Fabrizio Di Buono
L’apnea spesso è un rifugio. Sovente è pensata come sede della tranquillità, della calma, dove tutto il mondo esterno, fatto di schiamazzi, suoni, rumori, non esiste più. Esiste solo il proprio corpo, i suoni che esso emana. Ma l’immaginario di quiete può trasformarsi in un attimo, basta pensare al momento in cui si sta per riemergere dall’acqua nella ricerca disperata dell’aria, del respiro, di un fiato da riprendere. A volte mi capita di andare così in profondità e di avvertire nella riemersione il bisogno del respiro, che sembra essere una chiamata alla vita: la pressione della profondità si riduce, ma i movimenti diventano più disperati quando si è li, quasi a scoppiare, e in quell’affanno perdiamo ancora di più ossigeno immagazzinato, e l’affanno aumenta, si vede qualcosa in superficie, dopo l’acqua, e una volta riemersi è di nuovo vita, si respira. L’apnea è terrore per chi non sa nuotare, per chi non ha una dimensione familiare con l’acqua e la sola paura di andare giù, di perdere il respiro per un attimo gliela si legge in faccia.
Ma mi allontano dal mare quotidiano e mi rituffo. Rivado giù e tento di risalire: anche con il corpo che implora alla fine riemergo, con quel costante desiderio di vedere il cielo, senza acqua che si frappone tra me e le nuvole. Penso, però, che qualcuno non è riemerso in un mare che consideriamo nostro. Eppure provava le stesse sensazioni che tutti proviamo nell’apnea. Ripenso al desiderio di respirare e lo colloco in una notte. Penso ai nostri corpi in costume da bagno e li rivesto di pesanti indumenti indossati per affrontare un viaggio lungo e notturno in mare. Penso che, quando sei in acqua, nuoti con la coscienza del “quando non ce la fai più, ti giri e torni a riva, o ti riposi su uno scoglio”. D’improvviso penso che la spiaggia è troppo distante da me, che gli scogli non esistono, l’unico appiglio è la barca, ma va giù, la notte non mi fa vedere nulla, il peso dei vestiti bagnati, la stanchezza, mi tirano giù, in fondo. Riemergo, perdo forze, ma ancora sono vivo. Di nuovo, rivado giù, per quante volte potrò riemergere? Non si vede nulla, nessun soccorso, solo grida, agitazione, si va giù, di nuovo, tento di venirne fuori, bevo, non riesco a respirare più come prima. Tutto diventa disperato, ancora più di prima, ancora più delle percosse sulla nave, ancora più degli anni in viaggio, ancora più delle sevizie subite, ancora più dell’incertezza che troverò. Tutto si inabissa. Vedo le stelle da sotto il mare, posso rivederle, il bisogno di respirare, le stelle, la notte, il bisogno di respirare… Non esiste più il bisogno ad un palmo della superficie del mare, di un mare dalle forti correnti, di un mare lontano, nostro, ma lontano, di vita e di morte.
Lampedusa, il 3 ottobre 2013, una vittima per ogni giorno dell’anno. Il numero sarà 368. Gli sbarchi continuano,
NOTE
[1] Izaskun Sànchez Aroca, Lampedusa un ano despues, in Diagonal Global, 3 ottobre 2014.
[2] Centro di identificazione ed espulsione, prima Centri di Permanenza temporanea e assistenza (Cpt), secondo quanto disposto dalle legge Turco-Napolitano (art.12 L. 40/1998) e “perfezionato” dalla Bossi-Fini (art. 14 L. 189/2002), dal Pacchetto Sicurezza (L. 94/2009) e dal Decreto di recepimento della Direttiva Rimpatri (L. 129/2011) – che prevede come termine massimo di permanenza 18 mesi.
[3] Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, costituito dalla rete degli enti locali che attingono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, al fine di realizzare progetti di accoglienza integrata.
LINK UTILI
LINK UTILI:
- http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/immigrazione/sottotema006.html
- http://www.serviziocentrale.it/?SPRAR&i=2&s=2
- http://www.festivalsabirlampedusa.it/it/
- http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/03/lampedusa-come-il-peso-dellacqua-una-strage-spiegata-dagli-occhi-dei-migranti/1141495/