Marsili Notizie

Come può uno stabilimento arginare il mare?

Il mare d’inverno “urla e biancheggia”, è un’immagine dinamica che invade i sensi di chi osserva al punto da incutere timore. I luoghi su cui può manifestarsi sono costantemente mossi e rimaneggiati, ogni fisionomia geograficamente statica, nella stagione che per molti significa “letargo”, viene presa di forza e condotta al ballo. Che bella è la danza del mare d’inverno.

Non a tutti, però, quest’immagine piace.

Per taluni, il mare d’inverno e la sua danza, costituisce una vera e propria preoccupazione. Una situazione di stress da arginare al meglio per affrontare gli sforzi dell’estate. Un pensiero da togliersi dalla testa per meglio concentrarsi sui progetti da mettere in atto per l’unica stagione che si ritiene – legittimamente o a torto –  “turistica”.

In base a questa descrizione i primi a doversi preoccupare del mare d’inverno, dovrebbero essere i proprietari degli stabilimenti balneari sulla spiaggia. Non gli innamorati che, mano nella mano, si accompagnano lungo la linea schiumosa della battigia agitata. Non i pesci, che continuano la loro vita silenziosa tra i gorghi. Non i pescatori che, quando non vivono in case condonate dirimpetto alle onde, possono piazzarsi in punti strategicamente migliori per la loro attività.

Pertanto, coloro che si preoccupano, sono sempre disposti ad investire risorse affinché il proprio investimento non venga mandato in malora da qualche bizza tempestosa.

I metodi per il raggiungimento di questo scopo sono divenuti, nel corso degli anni, sempre più fantasiosi e invasivi. Un tempo bastava smantellare la struttura del lido nel periodo successivo al mese di Settembre, quando ancora il caldo locale permette bagni e pallide tintarelle fuori stagione. Ma questo determinava la perdita degli spiccioli dei pochi villeggianti sui generis che compaiono in quel periodo sulla costa. Una situazione inaccettabile per i Mastri Don Gesualdo nostrani.

Allora pian piano ha fatto la sua comparsa la strategia del lido permanente, aperto anche nelle domeniche di Novembre, con gli ombrelloni piantati a mo’ di contentino per facilitare romantiche schermate sullo sfondo del desktop. La cucina a mezzo servizio ed interamente congelata è stato il primo bene che, grazie a questa strategia, è stato possibile non rimuovere. Ciò avrà comportato un grosso risparmio nel campo dei fitti dei magazzini dove stivare il tutto in attesa dell’estate, un grosso risparmio nel non dover pagare una ditta per il trasporto di tutta l’attrezzatura, un grosso risparmio in termini di stacco e riallaccio dell’elettricità. Un vero affare!

Ma a spese di chi? Forse del mare inteso come “bene collettivo”.

Eh già, perché con l’installazione permanente del lido è nata la preoccupazione di “difenderlo” dagli elementi tipici delle stagioni fredde, con conseguenti strategie di arginamento che forse al nostro dirimpettaio azzurro non portano rispetto. Una prima soluzione, veramente innovativa nel contesto ecologico europeo, è consistita nella gettata sistematica di cemento e nella creazione di vere e proprie fondazioni per tutta l’area dello stabilimento. Tale operazione, attualmente “oscura” dal punto di vista normativo per via di alcuni cambiamenti concessi dall’ex ministro Tremonti, ha permesso ai gestori dei vari bagni di costruire dei fortini. Nulla da eccepire, nulla da opporre al fantasmagorico sviluppo locale dell’economia. Se questa è la cura che i promettenti politici locali hanno avallato, e se la cura viene somministrata da collaborazionisti imprenditori nostrani, allora nessuno si lamenti altrimenti passa per disfattista.

Però, norme alla mano, pare che nella tattica adoperata ci sia un grave errore.

Il Codice civile (Libro III – Titolo I) al Capo II: Dei beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici, recita chiaramente quanto segue:

“Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia (Cod. Nav. 28, 692); le opere destinate alla difesa nazionale.

Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi (Cod. Nav. 692 a); gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.”

Mentre il Codice della Navigazione, all’articolo 28 del capo I del secondo titolo del primo libro della prima parte, alla voce “Del demanio  marittimo”, specifica:

Fanno parte del demanio marittimo:

a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade;

b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’ anno comunicano liberamente col mare;

c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo.

Questo, senza indagare la natura giuridica della gettata del cemento sulla spiaggia, significa che quei ciclici movimenti di sabbia che viene ammassata come fosse trincea da opporre ai marosi, è un’operazione contro la legge. Se il lido è un bene “privato”, come lo si può difendere con la sabbia di una spiaggia che – prim’ancora di essere pubblica – è dello Stato?

A questo punto, ai gestori dei bagni, andrebbe chiesto conto. Non tanto per richiamarli agli eventuali danni che questa pratica potrebbe arrecare all’ecosistema, non tanto per una questione di immagine (perché vedere i lidi cinti da mura sabbiose rimanda l’immaginazione a scenari di guerra, poco appetibili per il turismo), ma quanto meno per chiedergli di rispettare una legge scritta per andare nel verso del “bene collettivo” e, soprattutto, per tornare a vedere senza ostruzioni la danza caotica del mare d’inverno.

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