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Città con il Nome di Donna – Cap.XI – Quando canta una Molecola

città con il nome di donna

 

«E Berta filava…». Con questo motivetto nella testa, Calarco Molecola s’aggirava in un parcheggio da centro commerciale nel pomeriggio del primo fine settimana primaverile.

La Città con il Nome di Donna sembrava distesa su un fianco, a godersi l’ultimo sole del nuovo tramonto stagionale, un orizzonte terso si moltiplicava fino all’ultima linea visibile del mare.

Le ombre s’allungavano sulla via, e tutto il visibile pareva distorto, striato e dissolvente come se il Creato volesse nascondersi . Un silenzio surreale regnava in tutte le strade, smaniose di rinascere a nuova vita sotto la spinta di progetti sgorganti dal montarozzo cittadino, quel colle San Settembrino su cui continuava a sventolare il vessillo dei Baracca del Rampante Cavallino.

Proprio in quella strana atmosfera, la camminata circolare del deputato Molecola, per giunta in un parcheggio desolato, appariva come il segnale di una quiete instabile, un clima pronto a volgere nella tempesta.

Coloro che si muovono nella giungla della rappresentatività sono i primi a fiutare i cambiamenti, gli sbalzi, i rovesci e le catastrofi.

Grande sgomento aveva pertanto acutizzato la contemporanea presenza, in quello slargo, di un collega dell’uomo in circolo, quel Franzisko Cobra che era riuscito a scamparla in quell’altro rinomato Parcheggio in Centro, nonostante la folgorazione.

I due rappresentanti di un modo di fare che – comunque – stava caratterizzando il maquillage in atto sul viso della bella distesa su un fianco, non davano però l’impressione di concordare sulla percezione del condiviso habitat, con Cobra che incalzava Molecola con ingiurie e velate minacce.

«Non si faccia più vedere per strada! Dovremmo incontrarci noi due soli, da qualche parte – strillava l’autore di memorabili arringhe elettorali – decida lei il luogo, ed io sarò pronto a farle assaggiare la forza del mio spessore culturale! Poi vedremo se avrà ancora la sicumera con cui stasera ha snobbato la parte finale di un’adunata decisiva. Si vergogni!».

Molecola, dal canto suo, aveva sempre quella canzoncina in mente, «e il vestito del Santo – canticchiava tra sé e sé – che andava sul rogo, e mentre bruciava urlava e piangeva, e la gente diceva: “anvedi che Santo…”», senza proferire parola verso quello spasmodico omettino che forse non s’era mai ripreso dall’incidente accorsogli con un palo della luce.

Era stanco e sfiduciato il giovane Calarco, poco prima s’era sentito riversare addosso tutto l’odio di una dozzina di sguardi coi quali aveva passato almeno quattro anni familiari.

Tra tutti, quello che gli era rimasto impresso con la forza più brutale, era proprio quello di Baracca del Rampante Cavallino, che con rabbia a lui usuale gli aveva urlato in faccia l’intenzione di volergliela spaccare al primo round dell’incontro sulle piazze comiziali.

«Ti farò uscire il sangue», aveva urlato Baracca nella tromba delle scale, risultando agli ascoltatori quasi con un tono oracolare, predittivo e vagamente intimidatorio, come lo era quello intubato nei condotti da cui s’esprimeva l’Oracolo dell’Antica Grecia. Molecola, dal canto suo, quasi come s’avesse avuto la cera nelle orecchie, continuava ad allontanarsi, allargando uno strappo apertosi con la consapevolezza di non avere il rispetto necessario a rendere produttiva la sua partecipazione.

Per questo, nel crepuscolo di quel fine settimana, stava consumandosi l’ennesimo giorno perso, incuneato in un ruga che – sul volto della Città con il Nome di Donna – forse sembrava allungarsi solo perché il sole era ormai quasi giunto al suo ultimo raggio.

Una lunga notte si prospettava, un buio nel quale le spinte dei sogni, degli incubi, dell’insonnia o della narcolessia, s’apprestavano a prendere forma per poi vaporizzarsi alle prime luci dell’alba di un nuovo giorno da fare durare per anni, «che non era di Mario – sembrava ironizzare Molecola – e che non era di Gino».

Intanto lui filava dritto.

(continua…)

Quello che avete appena letto è l’undicesimo capitolo del romanzo a puntate “Città con il nome di Donna”. Fatti, cose o persone, sono puramente immaginari. Ogni riferimento è puramente casuale.

Per riprendere il filo dai primi capitoli:

  1. Cap. I: Via della Capitale eruttava merda (clicca e leggi)
  2. Cap. II: ORRORE E SACRILEGIO. Catena recluse parcheggio in centro (clicca e leggi)
  3. Cap. III: Parcheggio in centro: PERICOLO MORTALE! (clicca e leggi)
  4. Cap. IV: Una lacrima in una stretta di mano (clicca e leggi)
  5. Cap. V: La fiducia manda Paradiso (clicca e leggi)
  6. Cap. VI: «Non riconoscerò mai quel figlio» (clicca e leggi)
  7. Cap. VII: «La faccia (almeno) si salva?» (clicca e leggi)
  8. Cap. VIII: «Neuro, Supertossico Batterio» (clicca e leggi)
  9. Cap. IX: «Il Pescespada, il Totano e il Toro» (clicca e leggi)
  10. Cap. X: Storia di un Re Mida alla rovescia (clicca e leggi)
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