Continuare a credere anche quando la Fede è messa a dura prova dalla realtà, è forse il più grande mistero della mente umana. “Ciò che capisco lo credo anche, ma non tutto ciò che credo lo capisco anche”, diceva Sant’Agostino; una presa d’atto che istituisce, in maniera comprensibile, una dimensione ulteriore a quelle “misurabili”, uno spazio-tempo infinito e inafferrabile che i comuni mortali chiamano “Aldilà”. Oltre ogni esperienza ed ogni logica, solo Dio può continuare ad essere e a tessere il mosaico infinito dell’esistenza. Nessuno può chiedersi il perché della vita, di questa Sua scelta progettuale condotta sul Mondo. Nessuno può arrogarsi il diritto di conoscere il destino riservato a ciascuno.
Volendo affidarsi alle Sacre Scritture, pare quantomeno blasfemo continuare a credere ad un Dio che abbisogna continuamente di “nuovi” angeli, chiamandoli a sé per mezzo della morte. È inopportuna la chiave di lettura secondo cui, una volta dismessi gli abiti mortali, esista la possibilità di una trasformazione alata. Gli angeli sono tra noi ma non sono “noi”: non hanno il nostro libero arbitrio, non intervengono per propria scelta e non hanno potere sul mutamento. Addirittura, volendo interpretare integralisticamente la Genesi, il numero di questi esseri celesti dovrebbe esser già stato fissato contestualmente al resto del Creato. Sono schiere precostituite, numerate in un conto che solo Dio sa, immortali e diversi dagli esseri umani per natura e per funzionalità. L’unico tra loro che ha creduto di poter godere di un certo “libero arbitrio” sta sprofondando all’Inferno dalla notte dei tempi, seguito da quelli che avevano abbozzato un appoggio nei suoi confronti.
È probabilmente per questa ragione che, nel tentativo di tracciare una descrizione di ciò che potrebbe attenderci nell’ultraterreno, le religioni – riferendosi all’umanità trapassata – all’unisono parlano di “Santi”, “Beati” e “Dannati”. Il ché conduce l’interpretazione su piani diversi da quello angelico, perché lascia a noialtri il compito di vivere secondo “comandamenti” che potremmo finanche disattendere. Gli angeli no, loro ricevono ordini che non contestano, eseguono pedissequamente il dettame conferitogli e non conoscono le conseguenze delle loro azioni. Che senso avrebbe avuto il mondo e la vita umana se fossimo stati creati come gli angeli?
Siamo diversi, è inutile girarci intorno. Noi sbagliamo, ci pentiamo, onoriamo e disonoriamo il Suo nome. Tra noi s’annidano Santi e Beati, ma anche Dannati. Siamo vittime e carnefici, consapevoli delle nostre intenzioni. Siamo martiri e il martirio è di per sé vicario di beatitudine e santità (sempre che non sia distruttivo per gli altri e che venga subito per glorificare la Verità e l’Amore). Siamo finiti per Sua volontà, ci esauriamo in un tempo che dinnanzi a quello dell’Universo è misera cosa. Eppure, siamo i Suoi preferiti, siamo da Lui amati e quando ricambiamo il Suo Amore, siamo chiamati a stargli vicino per ammirarne eternamente la bellezza.
Per Amor di Verità dobbiamo essere presenti a noi stessi, senza nasconderci alcunché o diluire le nostre consapevolezze nell’illusione che il Paradiso si schiuda a tutti. Altrimenti anche l’Inferno non avrebbe alcun senso.
“Ciò che capisco lo credo anche, ma non tutto ciò che credo lo capisco anche”. E non capisco perché sia necessario perdere la vita alla soglia dei vent’anni per dare agli altri la possibilità di dire “mai più”. Non capisco perché debba sempre servire un sacrificio per svegliare la coscienza .
Due ragazze sono morte sulla ss18, un’altra combatte sospesa su un filo di speranza ed un’altra ancora non potrà mai scordare ciò che ha vissuto. Quattro bimbe che hanno stretto in mano il dito dei loro genitori, che hanno portato gioia alle loro famiglie, che hanno pianto e riso di vita. Quattro passati, presenti e futuri che sono mutati ed hanno cambiato anche i nostri.
Credo, voglio credere, che quest’ennesimo martirio rechi in sé i tratti di un disegno celeste che comunque genererà Amore. L’Amore per noi stessi e per i nostri simili, l’Amore che ha sete di Verità e che vuol sapere perché – ad ogni scroscio d’acqua – l’asfalto della ss18 diventa una pista insaponata. Perché nessuno interviene per regolamentare gli innesti selvaggi che solo diabolici condoni hanno “sanato”. Perché una strada si staglia a due passi dalla furia del mare, sfidandolo in maniera plateale e perdendo pezzi in continuazione (basta dare un’occhiata allo schifo che nel 2016 ancora sussiste a due passi con il confine provinciale tra Campora e Nocera).
In Paradiso le accompagnino gli angeli, al loro arrivo le accolgano i martiri, e le conducano nella santa Gerusalemme.
Non chiamatele angeli, sono vittime. Non lasciamo che il loro sacrificio resti soltanto una parentesi tragica innestata nelle vite delle loro famiglie, dei loro amici e conoscenti. Partecipiamo ad un cambiamento che – insieme ad una troppo lunga lista di altre vittime di questa strada – possa costituire un modo “reale” per eternarne il nome. Chiediamo giustizia per loro e per noi lottiamo affinché cambi questa scriteriata idea di progresso. La loro vita è stata nostra, così come la loro morte e le loro sofferenze. Non diluiamo il dolore in parole dolci. Qui ed ora servono “fatti”.