Un’intervista, che è più un viaggio introspettivo in cui identificarsi, quella fatta a Federico Cimini, cantautore san lucidano 27enne, incoerente per natura, «poiché anche la coerenza è incline al cambiamento», come dice lui stesso, dalla voce graffiante che lascia il segno. Dopo l’esordio nel 2013 del suo primo lavoro discografico “L’importanza di chiamarsi Michele”, che lo ha fatto conoscere per tutta Italia, continua a far parlare positivamente di se con il suo secondo album, “Pererira”, uscito il 26 maggio scorso.
Un disco in cui è palpabile quel suo modo di provocare ma con ironia, di raccontare attraverso occhi divertiti e canzonatori quella realtà dalla quale a volte si vuole sfuggire.
Al contrario di come si possa pensare, nonostante il primo album trattasse temi sociali parlando di un “Michele come tanti”, con un Federico Cimini che voleva cambiare il mondo, “Pereira” è solo apparentemente superficiale. È necessario infatti andare più a fondo per capirne il significato, rispetto al primo disco in cui la verità veniva palesemente sbattuta in faccia senza mezzi termini.
Questa volta invece Federico ha deciso di mettere un po’ di se nei suoi brani, identificandosi, come accade quando si ascolta una canzone, nelle sue stesse composizioni.
Ma perché “Pereira”?
«Mentre scrivevo stavo leggendo “Sostiene Pereira”, il romanzo di Antonio Tabucchi in cui il protagonista arriva a compiere un gesto di ribellione, e visto che in quel momento della mia vita si stavano verificando molti cambiamenti, delle svolte, mi sentivo anche io “rivoluzionato”, e mi sono immedesimato nel personaggio. Da qui il nome del disco, che da il nome anche ad uno dei brani.»
Perché nel video clip di “Pereira” tutto va al contrario?
«L’idea è venuta a Giacomo Triglia, che ne ha curato la regia, il quale mi ha proposto di imparare il testo al contrario per far sì che nel riavvolgere la canzone, risultasse in modo corretto. È un video dinamico ma semplice, e anche qui il significato va ricercato con attenzione. Mi vengono lanciati degli oggetti addosso, torte, sporcizia, ma siccome tutto è al contrario, ritornano a non essere parte di me, come anni di debito che pian piano vengono tolti per lasciarti “pulito”.»
Hai parlato del tuo disco descrivendolo come “nudo”. Come mai?
«Perché per la prima volta racconto me stesso, anche se attraverso storie di altri. Fin’ora avevo fatto uscire solo il mio lato “militante”, rivoluzionario. Adesso, ho deciso di parlare in modo leggero di miei fatti personali, anche se raccontando di altri, senza essere nemmeno in questo caso protagonista. È il caso di “Blu”, che guarda al domani ma tenendo conto del passato e del presente, una speranza di un futuro migliore per tutti, che è al momento uno dei brani che preferisco. O “L’Assassino”, un po’ insensata all’apparenza ma che conferisce ad una storia d’amore finita il significato di giallo irrisolto in cui non si sa chi è il colpevole. O ancora “Maria”, in cui “invento” la storia d’amore tra mio nonno e mia nonna, quest’ultima scomparsa molti anni fa.»
«E’ un lavoro in cui ho investito molto» continua Cimini parlando del nuovo disco «non solo economicamente, ma anche dal punto di vista creativo, avvalendomi dell’etichetta discografica MKRecords, della collaborazione di Mirko Onofrio, di Andrea Rovacchi, che ha lavorato con artisti del calibro di Ligabue, Vinicio Capossela o Patti Smith, senza dimenticare la preziosa collaborazione di Simone Cristicchi e i Kutso. Inoltre ci sarà una sorta di “rivoluzione” all’interno del gruppo: il chitarrista, Giorgio Minervino, e il batterista, Giacinto Maiorca, suoneranno, alternando i propri strumenti, anche la tastiera, mentre per quanto riguarda il basso la vera rivoluzione è stata quella di inserire un nuovo elemento, Antonio D’Amato. Formazione, questa, che non solo mi segue durante i live, ma con la quale abbiamo registrato il nuovo disco. Insieme abbiamo puntato molto sul lato della presentazione, ed è stata una mia scelta suonare in modo capillare, anche in piccole realtà o in posti raccolti, dove adoro esibirmi.
Ti abbiamo visto infatti da poco (il 1° giugno) protagonista di un concerto presso l’Arci di Paola. Cosa ti è rimasto di quella serata?
«Ho un profondo legame con i ragazzi dell’Arci e i giovani di Paola, e vedere che a pochi giorni dall’uscita del disco cantavano a memoria le mie canzoni mi ha reso veramente contento. Ogni volta che mi esibisco lì mi sento a casa ma è sempre una sorpresa nuova.»
Dopo aver portato la sua musica a Paola, a due passi da casa, Federico è partito alla volta di altre mete: da Tropea a Vibo, da Catanzaro a Cosenza, a Lamezia, fino ad arrivare a Taranto, proseguendo questa sera a Roma, e domani a Siena, andando a toccare con il suo tour ancora numerose tappe. Città in cui siamo sicuri che il nostro “sorridente rivoluzionario” sarà felice di portare quel pezzo di Calabria in grado di inventarsi e rinnovarsi.