ANALISI – Crisi di Governo e sindrome del Re Sole (di A.M. Cupello)

di Aldo Maria Cupello

La crisi di Governo ultima non fa altro che presentare il gap politico-formativo che attanaglia ogni partito: è ciò che identifico come “la sindrome di Re Luigi XVI”. Tant’è che “Lo Stato sono io”, urlava infastidito ai suoi concorrenti e oppositori il Sovrano nel lontano 13 aprile 1655, quando vietò ai parlamentari parigini di legiferare su materie già regolate dagli editti reali.

Similmente, “il capo sono io”, urlerebbero i vari “leader” di partito, che di leadership ben poco detengono. Abbiamo modo di constatarlo dalle recenti rotture, assistendo ad una Forza Italia da sempre plasmata su misura di Silvio Berlusconi che, oramai, “ha perso lucidità” – citando l’ex fedelissimo Brunetta – e che sta allontanando pezzi da novanta come il Ministro per la PA insieme a Gelmini e Carfagna. E ancora, Luigi Di Maio, il quale – sbraitando su “filoputiniani” e “sovranisti” – pensa bene di dimezzare il suo MoVimento fondando un gruppo dalla retorica a dir poco qualunquista: “Insieme per il Futuro”. A sinistra, i vari Letta – sigh! – e Renzi cascano dai peri come se la crisi fosse piombata dalla mattina alla sera, e non perché un Governo come quello Draghi, appurata la larga intesa, fosse segnato ad una fine simile da appena istituito.

Ebbene, il fulcro delle dimissioni del “nonno d’Italia” risiede nel “totalitarismo gerarchico”. Che un partito sia fondato su amministratori, delegati e rappresentanti è cosa risaputa, ma non dovrebbe avere – allo stesso tempo – una singola persona in grado di condizionare gli interi equilibri e le singole scelte dei membri, reprimendoli.

La pena, altresì, non la si può irrogare in toto ai vari “monarchi dei partiti”, quanto agli stessi componenti che ne subiscono l’influenza, mancando apertamente competenze, formazione e carattere per stabilire un equilibrio parlamentare. Non è del tutto colpa dei vari Renzi, Di Maio, Salvini, Berlusconi, ma di chi non si è mai posto i dovuti “perché?” o non abbia mostrato interesse nel fare sana opposizione interna. Ne seguirà, dunque, un flusso migratorio mosso non perché si voglia seguire una leadership valoriale, ma dalla paura di perdere lauti stipendi e titoli di riverenza.

E se è vero che “anche i banchieri centrali usano il cuore”, è altrettanto veritiero che “historia magistra vitae”: quando uno solo gestisce, tutti perdono.

Formiamo persone, sviluppiamo idee, uniamoci – di nuovo – sotto dei valori e non dei cognomi.

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