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Paola – «Ecomostro»: tra anomalie contabili e autorizzazioni eteree

Prendendo in prestito la definizione che, in termini ufficiali, ne diede l’ex sindaco Basilio Ferrari (2012-2017), «l’ecomostro» costruito e mai finito sul lungomare San Francesco di Paola, sarà presto oggetto di un intervento di riqualificazione, volto ad inserirlo nel più ampio contesto che verrà a crearsi una volta che il porto della «Marina di Cosenza» diventerà realtà.

Frutto di un’iniziativa partita al tempo di una delle amministrazioni guidate da Roberto Perrotta (2003-2007; 2007-2012; 2017-2022), lo scheletro in cemento armato dell’edificio fu costruito, in un battibaleno, laddove un tempo sorgeva lo stadio comunale Eugenio Tarsitano (oggigiorno ubicato nell’impianto di Via Sant’Agata), e così è rimasto fino a qualche recente intervento di maquillage, comunque inefficace a nascondere la natura incompiuta dell’opera.

Tra ipotesi di abbattimento e riconversioni mai attecchite (per farne un parcheggio sicuro, non si sarebbe dovuto allagare), l’unica funzione a tutt’oggi svolta dall’edificio è quella di deposito per lo stoccaggio di indumenti usati, peraltro senza fine di donazione perché i locali non presentano caratteristiche per l’idonea custodia di abiti e scarpe. Una sorta di discarica occulta a due passi dal mare e dalla stazione, biglietto da visita impareggiabile per la presentazione della città a turisti e visitatori occasionali, allo stato questa è la condizione dell’immobile.

Piaga aperta sul fronte dell’immagine e dell’ambiente, «l’ecomostro» si è rivelato dannoso anche per l’impatto generato sul fronte delle casse comunali, dove c’è da pagare una cartella di circa 1,4 milioni di euro che, per più della metà del suo valore, è composta dalla revoca del contributo destinato proprio a completare l’opera. Una cifra di 800mila euro che il municipio è stato chiamato a restituire alla Regione, e che – non se ne comprende il motivo – è stata inserita tra le somme fuori bilancio del 2019, anziché essere ascritta alle annualità cui il debito si è formato, vale a dire al tempo dell’amministrazione Ferrari, che perse il finanziamento per non aver mai inviato il certificato di fine lavori.

Era il 2016 e l’organigramma dell’Ufficio Tecnico Comunale – chiamato al disbrigo di tali pratiche – era pressappoco lo stesso di quello di oggi, coi medesimi protagonisti nei ruoli dirigenziali, gli stessi che oggi hanno sottoscritto il progetto finalizzato a restituire decoro e dignità all’ecomostro. In pratica coloro che all’epoca avrebbero dovuto rivoluzionare il lungomare (ribattezzato «waterfront») e che, a parte rimescolare i colori dell’asfalto e cospargere di cordoli la carreggiata, sono riusciti a pagare a malapena tecnici e progettisti senza però riuscire a saldare i conti con la ditta esecutrice dei lavori.

Sebbene da allora siano cambiate diverse cose, tra le quali – ad esempio – la centrale unica di committenza (CUC) utilizzata dal comune per gestire i Lavori Pubblici (si è passati dalla prestigiosa Asmel Consortile, alla meno conosciuta Media Valle Crati), di fondo restano alcune singolarità che potrebbero – anche questa volta – costituire ostacoli per la realizzazione dell’opera così come viene prospettata.

Un’anomalia, ad esempio, risulta evidente già dal cartello dei lavori che è stato apposto dinnanzi all’edificio (tra l’altro già transennato con segnali da cantiere). Una stranezza che probabilmente avrà una sua ragione ma che, al momento, è forse opportuno segnalare perché potrebbe trattarsi di una svista.

Nello specifico, tra le varie voci che compongono la tabella in cui sono inseriti tutti i dati relativi al progetto, dal “codice CUP” al “Direttore di cantiere per l’impresa”, manca l’ambito specifico riguardo le eventuali e necessarie “autorizzazioni” ricevute per eseguire i lavori. Un dettaglio che potrebbe rivelarsi importante dal punto di vista formale, perché rappresenta il sigillo di garanzia sull’intero iter procedurale, che stavolta sarebbe opportuno concludere, senza colpi di scena o finanziamenti revocati per vizi di forma. All’epoca, per perdere un finanziamento da 800mila euro, bastò “dimenticarsi” di inviare il certificato di fine lavori; stavolta si potrebbe inciampare per la mancata comunicazione di un’autorizzazione (e sarebbe un peccato assistere all’ennesima ricostruzione tridimensionale che resta poi inattuata nella realtà).

About Francesco Frangella

Giornalista. Mi occupo di Cronaca e Politica. Sono tra i fondatori del Marsili Notizie ed ho collaborato come freelance per varie testate.

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