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Fuscaldo – Blitz Merlino: l’impianto accusatorio “regge” in Cassazione

Nella giornata di ieri sono state rese note le motivazioni per le quali, la Corte di Cassazione, ha ritenuto di non dover ammettere il ricorso – presentato dalla Procura della Repubblica di Paola – nei confronti di ciò che è stato disposto dal Tribunale del Riesame di Catanzaro in merito alle misure cautelari applicate, nell’imminenza del blitz “Merlino”, a tutti coloro che sono finiti in manette.

L’annullamento delle misure cautelari in carcere a suo tempo confermate dal Gip del Tribunale di Paola, Maria Grazia Elia, nei confronti del sindaco di Fuscaldo, Gianfranco Ramundo, del vicesindaco Paolo Cavaliere, dell’assessore Paolo Fuscaldo, del funzionario Michele Fernandez (alias “Merlino”) e degli imprenditori e professionisti coinvolti nella “retata” predisposta dalla Procura paolana, non ha per nulla smosso il quadro accusatorio predisposto dal dottor Pierpaolo Bruni, il quale – già in sede di conferenza stampa – aveva ricevuto i complimenti del Procuratore Generale di Catanzaro, Otello Lupacchini, in merito alle indagini condotte (anche se, proprio dinnanzi ai giornalisti, lo stesso Lupacchini aveva anticipato che ognuno si sarebbe assunto le proprie responsabilità in merito alle disposizioni cautelari adottate).

Le motivazioni della Cassazione, se da un lato danno ragione al Tdl sulla configurabilità dei presupposti per l’applicazione della misura cautelare inframuraria, dall’altro confermano l’impianto accusatorio nei confronti degli imputati, che restano “impigliati” nella rete predisposta da Bruni.

Quindi, in attesa di un Processo che dia misura di ciò che appare comunque grave per la credibilità di un intero sistema amministrativo, si riportano le motivazioni della sentenza degli “ermellini”.

«Il ricorso – hanno sancito da Roma – è nel suo complesso infondato, in quanto non idoneo a condurre all’annullamento del provvedimento impugnato ai fini di una nuova valutazione della sussistenza dei presupposti per l’adozione di una misura cautelare. Va peraltro rilevato che erronee risultano le valutazioni in base alle quali il Tribunale ha in radice escluso il delitto di cui all’art. 353-bis cod. pen., contestato al capo b) dell’incolpazione provvisoria. Deve infatti sottolinearsi che il reato in esame è stato introdotto allo scopo di estendere la tutela penale alla fase anteriore alla pubblicazione del bando, in relazione al compimento di atti di turbativa del procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente, aventi la finalità di condizionare la scelta del contraente. Risulta dunque indispensabile che venga turbata la correttezza della procedura amministrativa, con sviamento del suo regolare svolgimento. D’altro canto attraverso il riferimento all’atto equipollente si è inteso includere qualunque provvedimento diverso dal bando di gara, avente la funzione di giungere all’individuazione del contraente, compreso il caso dell’affidamento diretto, cosicché la fattispecie finisce per riguardare ogni forma di aggiudicazione diversa dalla gara e la stessa fase di selezione dello strumento di aggiudicazione».

Quindi, a parere dei magistrati della Suprema Corte, bisogna ritenersi «che il Tribunale non abbia debitamente valutato l’incidenza della falsità ideologica pur ravvisata con riguardo alle ordinanze contingibili e urgenti emesse fino al 2013 per l’affidamento diretto del servizio di gestione del depuratore e per la proroga dello stesso […] alla società Impec, falsità che costituisce di per sé il risultato di un fraudolento percorso valutativo destinato ad alterare il meccanismo di aggiudicazione, propiziando l’assegnazione diretta e dunque influendo sul meccanismo di scelta del destinatario, in assenza dell’individuazione da parte del Tribunale di un’alternativa giustificazione di quel profilo di falsa attestazione. Il ricorso è tuttavia inammissibile nella parte in cui contesta la valutazione del Tribunale in merito all’esclusione di profili di falsità delle ordinanze emesse a partire dal 2014, nelle quali si era dato conto di uno studio di appalto consortile su finanziamento regionale. Il Tribunale ha infatti ritenuto che alla base dei provvedimenti non vi fosse una attestazione ideologicamente falsa, deliberatamente inserita, essendosi giudicato plausibile che si fosse dato conto di uno studio effettivamente in corso di appalto consortile, circostanza in varia guisa comprovata, al di là delle valutazioni a margine formulate dall’ing. Pallaria, in realtà non pretermesse, ma reputate non decisive ai fini di una diversa valutazione».

Tutto ciò «non influisce sulla valutazione del Tribunale in ordine alla concreta ravvisabilità delle esigenze cautelari».

Infine, pur constatando erronee le «valutazioni del Tribunale in merito al reato di cui all’art. 353-bis per il periodo fino al 2013, risultano irrilevanti ai fini della configurabilità di tutti i presupposti per l’applicazione di una misura cautelare».

About Francesco Frangella

Giornalista. Mi occupo di Cronaca e Politica. Sono tra i fondatori del Marsili Notizie ed ho collaborato come freelance per varie testate.

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