Ragazze Nigeriane

Ragazze Nigeriane rapite, tragici emblemi del relativismo etico

Quindici Aprile, trecento ragazze nigeriane vengono rapite il giorno prima degli esami, da un gruppo islamista. Si diffonde la notizia, i giorni passano. Solo ieri, il capo del gruppo islamista Boko Haram, annuncia che le ragazze non verranno restituite alle loro famiglie, ma vendute come schiave o date in moglie. Nel democratico occidente, custode dei diritti umani, la notizia scivola via senza colpo ferire. La questione sembra di nuovo balzata agli onori della cronaca, in vista del World Economic Forum che si dovrà tenere proprio in quell’antro di mondo dove studiare è una conquista, specie se si è donne e dignitosamente si sfida il Tabù della sottomissione legata all’ignoranza.

Donne che non hanno diritto di respirare o di pensare, donne che ancora una volta sono alla berlina di integralismi che in quei Paesi si manifestano con la riduzione reale in schiavitù. Tutt’altra cosa rispetto alla civilissima Europa e alla sua presunta parità tra sessi, dove comunque i ruoli chiave rimangono in mano ad uomini, sempre più proiettati verso ambite mete, che sceglieranno strada facendo, chi farà parte del proprio maneagement.

Ancora una volta siamo di fronte ad ingiustizie e prevaricazioni sociali su donne offese nella dignità, date in pasto ad uomini come se si trattasse del proprio cane da tenere al guinzaglio.

È una storia d’ordinaria follia, che non può essere archiviata come se si trattasse di un fatto che non ha attinenza con il nostro vissuto. L’attinenza c’è, eccome. Quando le donne vengono escluse o tenute ai margini dei processi produttivi non si può parlare di diritti, ma di libertà negate o parzialmente concesse. Una società simile non andrà molto lontano ed è per questo che la storia di quelle trecento ragazze, desiderose soltanto di istruirsi, diventa la storia di tutte noi. Muoiono le società che sperperano il proprio capitale umano e le donne lo sono.

A. P.

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