il degrado

Il Degrado

Stare “sul” pezzo è un’attività quasi obbligata per chi, costantemente e – a volte – per lavoro, si sforza di scrivere e descrivere l’andamento della vita di una comunità.

Raccontare, tentando di rimanere distante dal coinvolgimento emotivo, è un’operazione che richiede uno studio minuzioso e che obbliga la penna a movimenti che – sempre più spesso – sono rifiutati persino dalla mano che la impugna.

Ci sono cose, nel mestiere di chi è “piacevolmente obbligato” a scrivere, che vorrebbero essere narrate diversamente. E così capita che, in un momento di necessità spirituale, la logica editoriale scompare. La ricerca del consenso sparisce. Ed il calcolo meschino di una visualizzazione in più s’annienta dinnanzi all’evidenza palesata da un cuore messo in centrifuga.

Da ieri pomeriggio uno squarcio s’è aperto nella dimensione spaziotemporale riservata alla cronaca locale della realtà per la quale, quotidianamente, scrivo.

Una voragine dal fondo letterario, perché la narrativa è un rifugio sicuro per ripararsi dagli strali della realtà. Perché “romanzando” si scopre che certi scenari, certe notizie, erano già state raccontate in un “altroquando” simbolico, dove le probabilità e la fantasia si fondono assieme generando storie credibili.

E allora, in soccorso, è venuto “Trainspotting”(clicca per vedere di cosa si tratta), con le sue macabre scene di degrado. Col suo racconto puntuale di una generazione che urla al vento: «È una merda essere scozzesi!». Con le sue pagine intrise di tristezza laddove un neonato muore in mezzo all’incuria di siringhe svuotate d’eroina, lasciate sul pavimento di una casa “sola” i cui occupanti – tra i quali c’erano suo padre e sua madre – erano troppo sconfitti per poter pensare al futuro.

Il futuro, incarnato in quel bebè, è morto nella culla. Soffocato dall’oppressione di un contesto socioeconomico degradato, dove la disoccupazione genera il taccheggio che la giustizia ordinaria definisce “furto”. Quindi, tribunali, condanne e detenzione. Poi, ritorno alla “merda” di essere quello che il sistema e la geografia politica stabiliscono.

Curiose analogie.

Perché è una merda essere italiani, europei di un’Europa senza umanità, è una merda essere calabresi e senza lavoro, col portafogli vuoto e la pancia mugolante. È una merda sapere che, mentre un appartamento è invaso dalla sconfitta, c’è chi governa e si fa lautamente rimborsare persino il costo di una lap dance. Mentre il popolo allibisce in uno stordimento che è solo mediatico e non induce alcun cambiamento reale.

Con ciò non si pretende di giustificare una disattenzione fatale o qualcosa di peggiore. Perché la vagabonderia è una scelta e la sconfitta è uno stato d’animo che potrebbe essere sovvertito. Tuttavia non sorprende che, in un sistema sorretto da colossali e costosissime balle, c’è chi ha cercato rifugio in una dimensione narcotica, dove il sogno di un momento presente è costato la vita del futuro.

Chi è capace di non piangere senza giudicare, si sollevi ed insegni a tutti la strada. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Paola, ieri, sembrava una valanga.

Ma sarà poi vero che la città è così zeppa di integerrimi dalla coscienza pulita? Saranno poi così tante le famiglie esemplari?

Di questo passo, di queste cronache, sarà zeppo ogni giornale.

Fermarsi è possibile, riflettere è “riformatorio”. Giudicare e basta, è solo “penitenziario”.

E di penitenze, almeno dalle nostre parti, dovremmo esserne tutti stanchi. Guardiamoci in faccia e diciamoci: “Basta”.

About Francesco Frangella

Giornalista. Mi occupo di Cronaca e Politica. Sono tra i fondatori del Marsili Notizie ed ho collaborato come freelance per varie testate.

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