* Titolo originale: “Il cinema di prossimità” di Ilaria Pezone – Libro sul cinema sperimentale, intervista all’autrice
Nel panorama saggistico sul cinema sperimentale mondiale degno di nota è il libro “Il cinema di prossimità: privato, amatoriale, sperimentale e d’artista” scritto dalla milanese Ilaria Pezone. L’autrice, filmmaker e docente, rilascia volentieri qualche parola su questo suo ultimo lavoro
Questo libro nasce nel momento in cui diventi autrice di cortometraggi o solo in seguito ti sei buttata nell’avventura di regista?
In realtà dopo. Io ho iniziato a fare cortometraggi molto presto, già ai tempi delle scuole medie facevo corti amatoriali. Il libro ha iniziato a prendere forma nel 2010, durante i miei studi al biennio dell’Accademia di Brera in Cinema e Video.
Il saggio attraversa tutto l’arthouse internazionale, dal New American Cinema ai cortometraggi di Artavadz Pelesjan. Quale di queste correnti sperimentali preferisci?
Sicuramente quella americana. Non tanto per una questione di gusto personale, ma proprio per affinità maggiore con quello che definisco appunto “cinema di prossimità”. Quindi Jonas Mekas, Andy Warhol, Stan Brakhage, Snow, ecc… per tutto quello che concerne l’idea di innovazione che avevano questi statunitensi all’interno del mondo cinematografico ma anche artistico. Infatti questi filmmaker erano anche artisti, (Warhol ad es.). Ma la stessa cosa è accaduta in Italia, chi ha realizzato film di questo tipo era anche un artista avviato, prendi Mario Schifano, ad esempio…, o comunque artisti “completi” , in un certo senso, in grado di spaziare al di là del cinema.
Credi di aver detto qualcosa di nuovo su questi film?
Più che altro, credo di aver raccolto delle idee di studiosi, anche di cinema privato, mettendole in relazione tra loro e un contesto culturale, cercando di analizzare la situazione produttiva odierna. C’è un filmmaker/studioso, Luca Ferro, a cui ho fatto riferimento per molte definizioni. Ho preferito radunare autori, contemporanei e non, che non fanno videoarte, non fanno documentari, ma propongono un cinema personale, magari rimontando filmati amatoriali con un’ottica autoriale (come Michelangelo Buffa, ad esempio). Li ho accorpati tutti sotto un’etichetta, “cinema di prossimità”, che in realtà è solo un modo di concepire il cinema
Molto di questo cinema sperimentale lo abbiamo visto in Italia grazie all’intraprendenza di Ghezzi e del suo ‘Fuori Orario. Cose (mai) viste’. C’è un autore italiano secondo te completamente da riscoprire?
Parti dal presupposto che tutti questi filmmaker non nascono come autori commerciali, quindi la loro fortuna in campo critico la hanno avuta, ma non mancano autori da scoprire o riscoprire ovviamente nel nostro cinema, da Bargellini a Giuseppe Baresi, Pietro Librizzi, Mauro Santini o Roberto Nanni. Stessa cosa a livello mondiale, di Jon Jost è da riscoprire la sua attuale produzione. Hanno spesso definito il suo cinema come un incrocio tra quello di Mekas e Godard, ma non è mai stato approfondito il suo attuale modo di fare cinema, che va al di là della finzione narrativa e del documentario. E ce ne sarebbero molti altri, talmente sconosciuti da non essere stati menzionati neanche negli studi sui quali mi sono basata.
Hai conosciuto personalmente questi autori, almeno quelli italiani?
Certo. In particolar modo Buffa e Santini, e spero che abbiano apprezzato il mio lavoro e il mio impegno nelle ricerche su questo tipo di cinema.
Editore: Falsopiano, Alessandria
Pubblicazione: 11 gennaio 2019
Pagine: 236 p.
EAN: 9788893041119