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Chi ha paura della precarietà? (di Roberto Pititto)

Certamente da un paio di anni eventi su scala mondiale, e in parte poco prevedibili, hanno minato alcune certezze e reso, apparentemente, il Mondo più precario.

Ma bisogna interrogarci su come interpretare questi termini, ovvero Mondo e Precarietà. Aspirazione dell’uomo, da quando la scimmia bipede ha sviluppato pensieri complessi, è la felicità. “Tutti vogliono vivere felici, ma quando si tratta di vedere con chiarezza che cosa sia che rende felice la vita, sono nella oscurità”. Così inizia La vita felice di Seneca, ma al filosofo stoico si affianca tranquillamente Epicuro nella sua Lettera a Meneceo, sulla felicità. Entrambi comunque si interrogano su cosa renda l’uomo felice ed ovviamente disegnano percorsi diversi. Questo breve e probabilmente troppo sintetico escursus, sui grandi filosofi solo per dire che non bisogna confondere l’aspirazione naturale di ogni uomo alla felicità, con il contesto storico contingente, mutevole e diverso, nelle diverse regioni del Mondo. E soprattutto non bisogna pensare che la visione ottimistica e, per certi versi condivisibile, della Storia come progresso, non abbia incidenti di percorso.

Facciamo alcuni esempi, considerando alcuni parametri, quali la libertà, la soddisfazione dei bisogni, le conquiste tecnologiche e più ancora sociali. Ebbene tutti noi condividiamo che uomini più liberi, con bisogni soddisfatti, in una società che offra uguali opportunità, senza distinzione di sesso, religione e quant’altro, siano più felici, rispetto ad altri a cui tali cose siano negate o perlomeno fortemente ridotte. Ebbene niente di tutto questo, voglio dire delle conquiste nei campi citati è patrimonio irreversibile delle umane società.

L’Atene del V secolo, era certamente meno tecnologica, senza farmaci e con una bassa aspettativa di vita, rispetto a quella, 2500 anni dopo, dei “Colonnelli”, ma era più libera e più partecipata dai suoi cittadini. Le classi borghesi della “bella epoque” mai si sarebbero immaginate il fango, le trincee e i milioni di morti della Grande Guerra. I cittadini e soprattutto le cittadine Afghane hanno sperimentato, incredibilmente più volte nell’arco di poch

i anni, quanta precarietà ci fosse nelle conquiste sociali del loro Mondo. Pensare alla catastrofe del Covid, può farci dimenticare ciò che accadde agli uomini del Trecento, quando una serie di conquiste in ambito tecnologico, sociale e nel pensiero filosofico furono spazzate vie, assieme a milioni di vite, dalla Morte Nera, la grade epidemia di Peste poco prima della metà del Secolo?

Oggi in Europa e nel resto del Primo Mondo, vive una generazione che ha visto la guerra solo in televisione, le grandi epidemie tipiche di ere passate, che ancora non possedevano le conoscenze per contrastarle, e soprattutto hanno vissuto nella illusione che tutto ciò fosse irreversibile e, al più ulteriormente migliorabile. E soprattutto, come i giovani di Boccaccio, si sono rinchiusi nella loro villa di privilegi, senza curarsi del resto del mondo e pensando persino che la “globalizzazione” tanto sbandierata come “panacea” per tutti i presenti e futuri contrasti, fosse una gentile concessione dell’Occidente, ricco, potente ed invulnerabile.

Vivere nella precarietà, come un cittadino africano, che non ha accesso all’acqua e al cibo, per non parlare delle cure mediche, vivere nella indigenza priva di prospettive di un ragazzo asiatico, sfruttato come uno schiavo nel mondo antico, per produrre beni per i nostri presunti bisogni…no, per fortuna non è questa la prospettiva. Ma rimuovere certezze, sapere che niente è per sempre, riscoprire alcuni valori reali che si riferiscono realmente ai nostri bisogni senza rincorrere “piaceri non naturali e non necessari, che pesano come macigni o sono fuggevoli come il vento” come Epicuro li definiva, è la via d’uscita.

Oggi questo nostro Mondo è più precario rispetto a qualche anno fa, ma dobbiamo essere consapevoli che tutto questo è accaduto e accadrà ancora nel futuro. Nel breve tratto delle nostre vite la Storia ci deve insegnare che la precarietà rappresenta quasi la norma, che la nostra stessa vita è precaria, in balia di accadimenti imprevedibili o che addirittura la nostra arroganza genera, come la folle gara del Titanic finita contro un iceberg. Se sapremo accettare questo possiamo davvero migliorare il Mondo, soprattutto se accetteremo di miglioralo senza egoismi, se sapremo resistere sulle scoscese ed aride pendici del vulcano, come “odorosa ginestra”, riscoprendo l’umana solidarietà, senza presidiare le mura della città, proprio nei momenti che appaiono bui, troveremo il modo per ridare speranza e far si che la Storia torni ad essere progresso.

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