Continua l’avvicinamento al Mondiale 2014

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Un racconto sul calcio e spiritualità . Contro il calcio moderno. Prosegue la marcia di avvicinamento de Il Marsili al mondiale brasiliano del 2014. Il profeta del gol è un racconto inedito.

Il profeta del gol

di Claudio Metallo

1.

Il mio giornale mi aveva chiesto di trovare una storia sensazionale che parlasse di calcio, un racconto alla Osvaldo Soriano, per intenderci. La vicenda doveva essere così interessante e così particolare da poter diventare una rubrica settimanale che da luglio ad agosto avrebbe dovuto accompagnare i tifosi più accaniti, orfani del campionato e delle coppe. Onestamente non sapevo a quale santo votarmi, anche perché non ero in un periodo molto florido e non vedevo l’ora di andare in vacanza. Invece mi toccava rimanere in redazione almeno fino ad inizio agosto per avviare le ricerche per i primi articoli che mi avrebbero permesso, poi, di continuare anche dal mare o dalla montagna, o in qualsiasi altro posto fossi riuscito ad andare a riposare un pò. Sono nato in un paesino di mare dove si comincia a fare i bagni a metà maggio (qualcuno pure prima). Adesso ero in città, faceva un caldo pazzesco e non avevo neanche la vasca da bagno. La mia gatta veniva a strusciarsi spesso alle mie gambe lasciandomi i (suoi) peli attaccati ed una sensazione di calore avvolgente tipo fiamme dell’inferno. Non riuscivo neanche a fumare per il troppo calore. Mi resi conto di avere la camicia attaccata alla schiena. Decisi di scendere ed andare al bar vicino casa mia dove facevano un’ ottima Margarita.

Non avevo ancora scritto una riga.

Per strada il caldo era ancora più insopportabile. Facevo difficoltà ad alzare le scarpe dall’asfalto mezzo squagliato. Arrivai davanti al bar in un lago di sudore. Stavo per entrare quando la porta si spalancò di colpo e per poco non mi centrava in mezzo alla faccia. Il proprietario del bar stava mettendo fuori dal suo locale, in maniera gentile, ma decisa, un tizio sulla cinquantina, un pò ubriaco che si lamentava.

“Hai bevuto un pò troppo, bambolo, fatti due passi e torna più tardi” disse il barista. Il tizio si allontanò un pò  e mise a sedere su un gradino là vicino. Lo zio si voltò verso di me e mi chiese scusa e mentre entravamo mi disse: “Sto stronzo, sta qui seduto da quando apro a quando chiudo e beve, beve e beve!”

“E’ un bar che altro vuoi che faccia” dissi. Lo zio, che conoscevo da anni, mi guardò con un’espressione un pò interdetta:

“Hai ragione, ma io odio il talento sprecato! Quel tizio una volta era un fulmine di guerra col pallone. Giocava come terzino sinistro”.

Pensai al terzino sinistro, questa figura romantica cancellata dai campi di calcio dai nuovi schemi e dai moduli imposti dagli allenatori.

Mi ripresi per un momento e dissi “Chissà a quanti aspiranti campioni è stata negata la via della gloria per una donna, un uomo, l’alcool!”

“Che poeta! Hai la febbre o è solo il caldo?” ribattè

“Vabbé, dico solo che non sarà il primo a sprecare il suo presunto talento in un bar o da un altra parte.”

Calcai di proposito la parola presunto ed aspettai la reazione, che puntualmente arrivò:

“Io non so cosa ne sai tu di calcio ed essendo un giornalista sportivo ho i miei dubbi che tu ci capisca qualcosa, ma ti assicuro che quello è un vero talento sprecato. Se n’é accorto anche lui, per questo viene qui ed ingurgita qualsiasi cosa sia alcoolica. E’ tutta colpa di un maledetto prete che hanno mandato qui, ca’ su’ vuonu manciare i cani!”

“Come si dice: pe’ monaci prieviti e cani tieni sempre ‘u viattu are mani!”

Lo zio emise un grugnito.

“Ohi zì, chi era ‘su prievite?” chiesi

“Era un sudamericano, mi pare uruguayano, si chiamava padre Galtieri o qualcosa del genere. Per fartela breve, questo tizio era convinto che il calcio avesse una sua ragione religiosa: un colpo di tacco, un gran tiro da fuori potevano essere dei modi per avvicinarsi a Dio.”

“Una specie di ascesi calcistica: grande giocata uguale gesto divino! Era un matto totale!”

“Tu che dici? Comunque questo prete diceva che era immorale fare soldi con il calcio e che la cosa dovesse rimanere confinata nei campetti parrocchiali e minchiate varie! Il tipo che ho buttato fuori s’è accorto che queste sono tutte cazzate, ma lo ha fatto tardi…certo, c’è qualcuno a cui forse è andata peggio ed era molto più forte di lui…” Arrivò un cliente e lo zio andò a servirlo. Rimasi per un attimo interdetto, poi  gli gridai senza accorgermene:

” E chi era?”

Lui si avvicinò per prendere qualcosa sotto il bancone,

“Che cazzo urli?” disse a bassa voce tirando fuori tre birre ghiacciate,

“Vai fuori a chiederlo al tuo amico!” mi disse porgendomi due birre stappate.

“Ma a chi? Al campione?” dissi alzandomi. Lo zio mi fece un gestaccio e disse qualcosa a mezza bocca con cui penso volesse maledire i miei morti.

 

 

2.

Uscii dal bar. Seduto su un gradino c’era il campione, con la testa tra le mani.

“Campione ti ho portato una birra!”

“Fredda?”

“Ghiacciata!”

Alzò la testa, guardò la birra:

“Una mexicali…mmm…è gassata, dolce e fa pisciare”.

Pensai che potevo bermela io, ma volevo sapere qualcosa in più sul prete sudamericano e quindi abbozzai un sorriso. Mi sedetti vicino a lui

“E’ vero che giocavi come terzino? Mi ha detto lo zio che eri forte!”

il tizio mi squadra e fa una sorsata.

“Con chi giocavi? Con la squadra del prete? In parrocchia?”

“Si.” mi risponde seccato. “Era un grande allenatore ed è stato anche un maestro di vita.”

“Ah,beh… Si vede.” dico.

Il terzino mi riguarda con gli occhi iniettati di sangue:

“Se pensi che sia andata male a me non sai com’è finito Faustino” fa con aria di sfida.

“Chi è Faustino?”

“Era il giocatore più forte che ho mai visto giocare su un campo di calcio.”. Bingo, pensai

“E che fine ha fatto?”

“E’ impazzito appresso alle stronzate del prete. Padre Galtieri era un pò pazzo.”

“Lo zio mi ha spiegato la situazione!”

“Mmm…” mi guarda bevendo. “Comunque Faustino è sparito nessuno sa di preciso che fine abbia fatto. Era molto legato al prete ed ascoltava tutto quello che gli diceva. Era forte, fortissimo, però preferiva tenersi per sé quel talento, per sé e per il suo dio. I genitori non è che se la passassero proprio bene, quindi non è che erano molto contenti. Puoi immaginare: hai un tesoro in casa e non puoi spendere neanche un centesimo per comprarti una birra, magari meglio di quella che mi hai portato. Hanno provato a portarlo a dei provini, ma quello si rifiutava di giocare, anche se il padre lo prendeva a sberle e la mamma piangeva! Appena Faustino era arrivato in squadra, giocava tipo Sivori: scartava l’avversario e poi tornava indietro per dribblarlo di nuovo e poi andava in porta. Comunque lo faceva per divertirsi, senza malizia. Aveva un cuore d’oro. Una volta, mi ricordo, giocavamo una partita fuori casa e lui notò che il portiere avversario guardava sempre in tribuna e sorrideva. Forse c’era la sua fidanzatina oppure i genitori, non lo so. Faustino andò dal ragazzo e gli disse che se continuava a stare così fuori dai pali, quando non c’erano pericoli vicino alla sua porta, gli avrebbe fatto gol da centrocampo. Il portiere lo mandò a quel paese in modo abbastanza plateale. Dopo qualche minuto, Faustino prende palla a metà campo e tira una sassata formidabile. Il pallone prima si alza e poi si abbassa di colpo e s’infila in porta. Il portiere avversario si mise a frignare come un bambino, il suo allenatore fu costretto a sostituirlo. Mentre usciva, Faustino gli si avvicinò e gli disse:’Ti avevo avvertito’.”

“Nessuno si ricorda di lui? Nessuno lo allenava? I genitori sono ancora vivi?”

“L’allenatore era Angeluzzo Sposito, vive ancora qui. Penso che se ci vai parlare qualcosa possa dirtela”

Lo guardo interrogativo.

“Pensi che non ho capito che sei un giornalista? Sportivo per giunta!”

Lo fisso come se mi avessero beccato a rubare le caramelle. A molti giornalisti non interessa nulla delle storie che raccontano, finito il pezzo finita la storia. Anch’io, per un pò di tempo sono stato così, adesso sto cercando di disintossicarmi e riprendermi il piacere che avevo nello scrivere, anche gli articoli sportivi, al di là di quello che dice questo alcolizzato! Mentre penso queste cose il terzino continua a parlare, ma riesco a recepire solo

“I suoi vecchi credo abitino ancora nel centro storico!”

Parliamo ancora per un pò, poi lo saluto ed ancora pensieroso, neanche lo ringrazio mentre vado via.

 

 

3.

Arrampicarsi per il centro storico non era la cosa più semplice del mondo per un accanito fumatore che passava la maggior parte della giornata davanti al computer a scrivere o a perdere tempo su skype. Inoltre la temperatura folle mi stava facendo perdere svariati chili, ma questo vista la mia stazza non era del tutto un male.

Non avevo mai capito come mai nessuno avesse tirato giù le case che non permettevano alle macchine di passare nel mezzo degli antichi palazzi della mia cittadina. La corsa ad andare ad abitare in marina, anche qui, aveva spopolato di fatto la parte antica del paese. Continuai ad arrampicarmi, finché non arrivai nella piazzetta, a strapiombo sul paese, dove il campione mi aveva indicato essere la casa dei genitori di Faustino. Dalla piazzetta si vedeva un panorama bellissimo. C’era il mare limpido. Certo, se guardavi giù l’urbanizzazione selvaggia e l’abusivismo condonato, non davano molto spazio alla tranquillità ed alla calma che quella distesa blu trasmetteva. Poi eravamo in estate, si sentivano i rumori ed il vociare della massa di turisti turisti riversatasi sulle spiaggia.

Mi decisi ad andare a bussare.

“Chin’è?” rispose una voce gracchiante di vecchia. Pensai che era meglio non mentire, le spiegai chi ero. Tutto ciò con la porta ben serrata.

La signora rispose cortesemente: “A mmia chi minni futte?”.

“Signora, vorrei sapere che fine ha fatto suo figlio per scrivere un articolo su di lui, non chiedo molto.”

“Unne sacciu nente ‘e figliuma.”

“Sa dove posso trovare padre Galtieri?”

“Chillu strunzu! Speru aru camposantu, ma forse sta ancora intra ‘u conbiantu ‘e Sant’Evaristo.”

“Beccalossi?” feci io ironico

“Chin’ é su Beccaluossu, ma pe’ piaciere…vavatinde…su cretino”

“Grazie signora” Rimasi a fissare la porta che non si era mai aperta e sentivo la vecchia che murmuriava improperi, mentre si allontanava dall’uscio serrato. Scusate la licenza poetica, ma sono pur sempre un giornalista. Decisi che era giunto il momento di andare a parlare a quattr’occhi con questo padre Galtieri, saltando l’allenatore di Faustino che già conoscevo. Gigino Sposito era un vecchio calciatore che aveva aperto una scuola calcio ed era tifoso del Catanzaro. Avete presente quegli calciatori e poi allenatori falliti che non si sa per quale motivo si danno aria da grande conoscitori di pallone? Che ti raccontano del loro provino con Inter o Milan, dicendo che, “…alla fine, non erano voluti andare loro a giocare a Milano, per stare vicino alla famiglia e poi comunque loro già lavoravano ed i guadagni di allora non sono quelli di oggi…” e minchiate varie.

Il suo soprannome era Gigino ‘u ‘nsivusu. ‘U ‘nsivusu è una persona così sporca ed unta che quando lo tocchi rimani ti rimane il grasso (o sebo, in dialetto sivu) sulle mani e senti un impellente bisogno di andarti a lavare tutto. A parte questo ed il fatto che tifasse per il Catanzaro, non avevo molta simpatia per lui, perché odiavo le scuole calcio: il calcio, secondo me, s’impara per strada, così s’impara anche a stare con gli altri, senza avere un adulto, nel nostro caso anche scemo, che ti pedina ogni passaggio.

 

4.

Decisi di non perdere altro tempo e andare a cercare di parlare con Galtieri. Non so se avrebbe gradito la mia visita, ma dovevo provare.

Intanto dei grossi nuvoloni si addensavano sopra la mia testa ormai cotta dal sole. La pioggia avrebbe rinfrescato l’aria,  ma dovevo sbrigarmi ad arrivare al convento. Venendo già dal centro storico riuscii ad evitare la scalinata che dalla marina porta alla parte superiore ed al convento con annessa chiesa.

La chiesa era uno splendido monumento ai terremoti che hanno, da sempre, devastato la mia terra. L’impianto centrale penso che risalga al 1200, più o meno, ma quella che mi trovavo di fronte era una specie di puzzle ricostruito in varie epoche e, ad un occhio attento, sembrava un vero e proprio patchwork. La guardai ancora un pò da fuori, poi un lampo seguito da un tuono mi fece ricordare che avevo una missione: evitare di bagnarmi. Entrai nella chiesa e trovai un fraticello a cui chiesi dove potevo trovare padre Galtieri. Il frate mi scrutò con aria sospettosa e poco complice, tutto il contrario dell’affabile sguardo del tipico fratino perennemente intontito da liquori e birra prodotti da lui e dai suoi confratelli.

“Non conosco nessun padre Galtieri e non credo che qui ci sia mai stato nessuno con questo nome. Se vuole scusarmi devo andare a controllare il nostro liquore al basilico, è molto digestivo, ne vuole assaggiare un pò?”

“No, grazie. Senta, io sono un cronista sportivo volevo solo chiedere a padre Galtieri di Faustino, un suo parrocchiano che si dice sia stato un grande giocatore di calcio, ma che ha seguito fino in fondo le regole imposte dal suo allenatore spirituale…volevo dire dal suo padre spirituale ed allenatore

In quel preciso istante si senti un scricchiolio tipico del legno delle chiese e poi una voce distinta e cavernosa:

“Io non imponevo niente a nessuno.” Io ed il fratino ci guardammo e lui mi scostò frettolosamente ed andò via.

“Faustino era un grande campione di calcio e di fede.”

A quel punto capii che la voce veniva dall’interno del vicino confessionale, mi andai a sedere dal lato del penitente.

 

5.

“Chi è lei?”

“Io sono un giornalista e mi sto interessando alla vicenda di Faustino.”

“Nessuno sa dove sia finito. Sicuramente è raccolto in preghiera in qualche angolo remoto del nostro misero pianeta.”

Era chiaro che quella voce non poteva che essere di padre Galtieri.

“Lei comunque è stato il suo padre spirituale e calcistico, non può dirmi niente sul suo discepolo?”

“Potrei…potrei, ma non potrei…o potrei…”

La sua, era una voce che, oggettivamente, faceva ridere. Sembrava uscita da un vecchio film di Josè Modica Marjins, alias Ze do Caixao. Tra l’altro cominciavo ad avere il sospetto che fosse matto quasi come l’autore di Delirio de un abnormal.

Pensai di cambiare tattica. Stavo per aprire la bocca quando il prete attaccò a parlare:

“Lo sa che mia madre soffriva spesso di  mal di pancia?”

“Come, scusi?”

“Mia madre aveva spesso il mal di pancia.”

“Mi dispiace…”. Non c’era dubbio: era completamente matto.

“Non era vero. Faceva finta.”

Ero perplesso

“Quando c’era poco da mangiare in casa nostra, lei faceva finta di avere mal di pancia così ci cedeva la sua parte senza farcelo pesare. Succedeva solo se non c’era mio padre che s’arrabbiava molto se le vedeva fare una cosa del genere. Mio padre non aveva molto tempo per spiegarci gli errori che commettevamo e quindi ogni tanto ce le dava. Che poteva fare? Usciva la mattina mentre ancora dormivamo e tornava la sera intorno alle otto. Lavorava tutto il giorno in una fabbrica tessile a sessanta km da casa. Molti dei suoi colleghi sono morti per colpa dei materiali tossici che usavano per fare i tessuti. Anche lui ha fatto questa fine. Per fortuna è riuscita a vedermi con la maglia della nazionale.”

“Lei ha giocato in nazionale?”

“In quella del mio paese. I miei parenti erano molto felici. Io ero un pò spaesato senza il pallone tra i piedi.” il tono di voce cambiò improvvisamente e mi sembrò dietro la grata del confessionale che stesse stringendo i pugni e quasi rabbiosamente disse:

“Giocammo delle grandi partite, difendendo i nostri colori! Cambiò tutto quando vincemmo i mondiali ed io capii dove sarebbe andato a finire il pallone, il calcio.” Ritornò calmo e continuò a parlare:

“Qua in Italia ne sapete qualcosa, direttori sportivi che corrompevano arbitri, bilanci falsati, squadre usate come garanzia per le banche, giocatori che si ammalo a vent’anni di malattie rare, che muoiono giovani a causa delle sostanze che gli fanno ingurgitare. Altri ragazzi le cui morti vengono fatte sembrare suicidi…”

“Cos’è successo nella sua nazionale?” chiesi. In realtà non mi fregava niente, ma sentivo che il vecchio voleva sfogarsi e forse, alla fine, mi avrebbe dato l’informazione che cercavo.

“Ci giocavamo un campionato del mondo in casa del Brasile…”

Era sempre più chiaro che padre Galtieri era un matto!

“Il Brasile era una squadra incredibile ed i dirigenti del nostra federazione negli spogliatoi del Maracanà, ci dissero in modo paterno che se riuscivamo ad evitare la goleada, sarebbero stati contenti lo stesso e non ci sarebbero stati problemi. Riusciamo in qualche modo a tenere la partita sullo 0 a 0, ma subivamo in maniera costante. E’ un vero e proprio assedio. Purtroppo al 19° del primo tempo il Brasile, segna il primo gol. 1 a 0. Lo stadio sembra venire giù. Si preparano a farci colare a picco. Io raccolgo la palla in fondo alle rete. Guardo alcuni dei miei compagni sconsolati, mentre lo stadio trema tutto per il rumore assordante che proviene dalle gradinate. Mi dirigo verso il centrocampo lentamente. Tutti mi fischiano, i giocatori brasiliani, quasi, mi aggrediscono. Metto la palla sul dischetto e mi accorgo che tutta la potenza dei brasiliani s’è trasformata in rabbia. Avevo smorzato la loro voglia di vittoria e l’avevo tramutata in nervosismo. Prima di battere il calcio d’inizio, mi giro verso i miei compagni e lancio un urlo sovrumano che non riuscirei più a ripetere, ma che nessuno in quello stadio dimenticherà più. Il pubblico ammutolisce, i giocatori brasiliani si guardano dubbiosi: ‘forse non siamo così forti’ avranno pensato. Da quel momento la partita cambiò completamente registro e nell’incredulità generale, riuscimmo a rimontare ed a vincere 4 a 2. Noi eravamo contenti, felici. E’ stata una straordinaria emozione che il calcio mi ha regalato, ma è stata anche l’ultima. Ci diedero delle medaglie d’oro, una per ogni giocatore. Lo sa che fine hanno fatto?”

“No, che fine hanno fatto?”

“I dirigenti della federazione, tornati nella capitale, appena scesi dall’aereo, le hanno prese e ci hanno dato in cambio delle medaglie di latta, dicendo che quelle d’oro spettavano alla federazione, ma in sede non le abbiamo mai viste. Questa è stato il mio ultimo rapporto con il calcio professionistico.”

“Non ha mai pensato che magari quelli erano solo dei dirigenti scorretti?”

“Ma quali dirigenti scorretti! Nel calcio sono tutti scorretti. Anche oggi, tu fai il giornalista sportivo e lo sai, non vedi come si comportano? Io sono ancora più contrario al calcio moderno ed alla pay tv.”

Avevo capito che il vecchio era andato e che non avrei avuto le informazioni che cercavo. Decisi di salutarlo ed andarmene. Quando ero sulla porta della chiesa, padre Galtieri, mi chiamò e mi disse:

“Se cerchi Faustino lo trovi nell’altro convento, quello vicino alla chiesa matrice, vicino alla collina e lì che si nasconde per sfuggire a quelli come voi, seguendo i miei santi insegnamenti.”

‘Quelli come voi’? Ma che voleva da me quello stronzo? Andai subito al convento.

 

 

 

6.

Continuai la mia arrampicata verso la collina a piedi. Continuando a perdere peso! Il tanto atteso temporale refrigerante non era arrivato ed anzi adesso faceva più caldo di prima.

Finalmente, arrancando sugli scalini scolpiti nel tufo, riuscii ad arrivare in cima. Avevo la porta del convento di fronte a me. Non aveva l’aria di essere messo benissimo. Meglio così. L’ultimo baluardo tra me ed il mistero di Faustino era anche un pò diroccato. Sarebbe stato più facile espugnarlo. Raggiunsi il portone. Avevo il cuore che mi batteva velocissimo, ne sentivo distintamente il rumore. Bussai con tutta la forza che mi era rimasta in corpo, mi sembrò quasi di buttare giù il portone. Aspettai qualche secondo che mi sembrò un eternità, ribussai ancora più forte, ma nessuno venne ad aprirmi. Forse, quel pazzoide di padre Galtieri, ha avvertito qualcuno all’interno? Forse mi hanno visto arrivare e mi hanno riconosciuto? No, questo non può essere, mica sono Gianni Brera. Decisi di attendere fuori per un pò, qualcuno sarebbe entrato o uscito da lì dentro. Era pur vero che in quel posto, potevano avere provviste per dieci anni. Chi avrebbe ceduto per primo?

Per cominciare mi accesi una sigaretta! In zona non si vedeva neanche un bar, un chioschetto, qualcuno con una birretta fresca da imprestarmi.

Decisi di andarmene dopo aver fumato una decina di sigarette e dopo aver perso le ultime gocce di liquido che rimanevano nel mio corpo. Era già il tramonto, intenso, secco, affascinante come solo i tramonti nei posti di mare sanno essere. Per un effetto provocato dalla luce: del pulviscolo sembrava alzarsi da terra di qualche centimetro. Sentii un tap tap tap tap tap, sembrava un rumore di pallone. Lo ascoltai più attentamente. Era proprio il suono che fa un pallone quando si sta palleggiando: leggero, candido. Una musica crescente che, unita con l’atmosfera del tramonto, sembrava ammaliare. Mi ripresi con difficoltà da quel tentato rapimento dei miei sensi. Sentivo un formicolio per tutto il corpo, mi voltai, alzai lo sguardo e vidi in controluce un uomo con un saio tirato sopra le ginocchia. L’uomo palleggiava. Testa testa testa testa, collopiede, ancora, ancora, ancora e poi d’un tratto tacco, collo. La musica di quei colpi accompagnava i movimenti del frate, sentivo di aver perso la parola. Intanto il sole continuava a calare ed io avevo, finalmente il mio racconto.

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