Se non ci fosse da piangere per tutta quella sequela di disservizi che caratterizzano l’offerta sanitaria del tirreno cosentino, oggi ci sarebbe davvero da ridere.
Ovviamente l’argomento cardine è lo spoke condiviso tra le città di Paola e Cetraro, un “ospedale” ballerino come un tavolo a cui manca una gamba, sempre al centro dell’attenzione politica che al suo interno custodisce tantissimi voti. Perché la sanità è declinabile nel favore dei camici bianchi e in quello dei pazienti in pigiama, nel consenso degli OSS e in quello degli addetti alla ristorazione, in una fiera dell’est infinita di possibilità da tramutare in voti nell’urna qualora si azzeccasse la mossa giusta.
Da questo assunto partono le ragioni per le quali quest’oggi bisognerebbe ridere, perché nella spasmodica ricerca di una vetrina molti dei protagonisti implicati in questa “fantastica storia”, commettono errori grossolani, degni delle comiche di Stanlio e Ollio.
In primis per le azioni messe in campo a tutela dell’utenza, che sembrerebbero concentrate più che altro alla nomina dei medici da inserire in questo o quell’altro reparto (da spostare o meno) nell’ambito di uno spoke suddiviso in due basi distantissime tra loro.
Secondariamente, si potrebbe ridere per la farsa degli avvoltoi che roteano attorno alla carcassa di una struttura che sarebbe più opportuno (e non lo diciamo noi ma autorevoli referenti del mondo medico) radere al suolo e ricostruire, in un unico edificio da posizionare lontano da Paola e Cetraro (magari in un punto mediano).
Il terzo motivo da far esplodere la pancia per le risate a crepapelle, potrebbe essere costituito dagli effetti che la smania di protagonismo genera in coloro che cercano la ribalta, che nel caso del presidente del consiglio comunale paolano, l’Avvocato Graziano Di Natale, si concretizzano nel disinvolto uso del termine “soddisfava” che, per quanto concesso, è altamente sconsigliato.
Con questo termine, ammesso nel lessico solo per non accettare il fallimento della scuola dell’obbligo italiana (ma sonoramente bocciato dall’Accademia della Crusca, clicca), si dovrebbe contraddistinguere il verbo “soddisfare” (qui in tutte le sue coniugazioni), nella terza persona singolare del tempo imperfetto (soddisfaceva).
Volendo pensare che un legale di elevata caratura, qual è l’esponente politico in questione, abbia utilizzato questo termine per “far parlare i fessi” in modo ottenere maggior risonanza riguardo i suoi ragionamenti, allora è probabile ipotizzare che “soddisfava” sia in realtà il nome di un legume, una sorta di ortaggio mistico e leggendario con cui nutrire gli utenti della sanità del tirreno cosentino, sempre più assuefatti dinnanzi a fiumi di parole che non conducono da nessuna parte.
La speranza è che, come tutti i legumi, la “soddisfava” abbia quei requisiti che almeno aiutano ad evacuar la pancia nel sollievo di un concerto, quel frastuono cacofonico preferibile a tanti discorsi che da qui alle elezioni regionali tutti i calabresi saranno “costretti”, loro malgrado, a subire.