Un ricordo dell’amata cantautrice calabrese (al secolo Domenica ‘Mimì’ Bertè) scomparsa nel 1995, attraverso gli occhi di Olivia, la minore delle sue tre sorelle
A gennaio è uscito il biopic “Io sono mia” magistralmente interpretato da Serena Rossi. Come valuti la sua interpretazione di Mia?
Serena è stata eccezionale, ha studiato Mimì con il cuore e l’anima, più che con la mente! Anche il resto del cast è stato bravissimo.
Il fatto che i personaggi di Renato Zero e Ivano Fossati non siano riportati nel film, dal momento che non hanno concesso la loro immagine, secondo te ha influito negativamente sulla ricostruzione?
Questa sono problematiche legate alla produzione. Ricordo di aver letto il copione che mi era sembrato valido sin dal primo momento, e poi è ovvio che sia concesso romanzare. Dato che è una fiction questo va preso in considerazione.
Sarebbe bello ricordare quegli esordi di Mia come “Mimì Bertè”, da ragazzina ye-ye e dal look ben diverso da quello che conosciamo
Ai tempi del suo debutto avevo sei anni. Eppure ricordo bene: era il 1964 e Mimì era diciassettenne. In quel periodo abitavamo ad Ancona, poi nel 1965 ci siamo trasferiti a Roma. Con mia madre viaggiava spesso, e per il lavoro discografico si recava sempre a Milano. Già collaborava con Carlo Alberto Rossi e già scriveva come autrice. Due titoli su tutti: “Evviva il surf” e “La prima ragazza”, rimasti inediti fino al 1996. Ma una chicca vera e propria risale al 1969, “Coriandoli spenti” (scritta con Renato Zero e Alberto Costantini) del quale esistono pochissimi esemplari
Negli anni successivi come ricordava questi esordi?
Naturalmente con affetto; poi, ovviamente, come ogni vero artista, badava molto di più alla sua evoluzione che al suo passato. Come disse anche lei in un’intervista: “se fossi rimasta a quello che ero, non sarei cresciuta”
La svolta di Mia Martini arriva nel 1970/71. Qualcosa di artistico pensi di averglielo iniettato?
Negli anni di cui parli ero ancora piccola, anche se in seguito Mimì mi faceva ascoltare tutte le incisioni prima che uscissero, i provini, ecc. Ricordo che mi innamorai di “Per amarti” e le consigliai di farlo uscire come singolo. Poi ci occupavamo insieme del primo “fan club”, anche se all’epoca non si chiamava proprio così. Mi occupavo anche del suo abbigliamento. Erano poi gli anni non solo delle sue canzoni più fortunate (“Al mondo”, “Minuetto”, “Il viaggio”) ma anche quelli delle traduzioni, di brani di Cat Stevens, John Lennon, Queen, ecc…
Aveva progetti nel cassetto mai realizzati?
Nel 1982/83 aveva in progetto una collaborazione con Pino Daniele, poi negli anni Novanta lei e Mina avrebbero dovuto mettere su un intero album. Ci sono però state varie difficoltà, e poi tieni conto che Mimì è venuta a mancare così all’improvviso… Stessa cosa per un album sul tema della Luna che avrebbe dovuto scrivere in quel periodo con la collaborazione anche di Mimmo Cavallo (me lo diceva spesso) e, dulcis in fundo, di un disco dove avrebbe dovuto interpretare brani di Pino Daniele.
Cosa hai condiviso di più affascinante con lei?
Dal momento che ero spessissimo con lei, molte cose. Giornate stupende passate al cinema, dove vedevamo tanti film. Il primo iniziava alle tre del pomeriggio, l’ultimo finiva a mezzanotte! Vedevamo i film di Mel Brooks, Dario Argento, Stanley Kubrick… registi che Mimì adorava. Poi le situazioni professionali: il periodo di “Danza” (disco uscito nel 1978), ad esempio, l’ho vissuto intensamente. In casa girava questa vita artistica, fatta di prove e sessioni di scrittura. Poi lei suonava perfettamente pianoforte, tastiere, chitarra… di cui faceva stretto uso per la composizione, e in seguito anche per la programmazione degli arrangiamenti. Conosceva tutti gli snodi necessari per curare al meglio il risultato discografico, infatti ha lasciato un patrimonio sorprendente.
Quegli strumenti di cui mi parli li hai anche tu?
No. Sono un po’ sparsi, come molti sanno io ho regalato una chitarra a Serena Rossi. Un’altra si trova invece nella Scuola dei Cantautori di Milano curata da mia nipote Manuela e da Vincenzo Adriani. So del suo pianoforte storico andato all’asta, fortunatamente acquistato da un suo grande appassionato e collezionista, che ringrazio pubblicamente per la cura e l’amore rivolti.
E degli ultimi anni cosa ricordi maggiormente?
Non eravamo mai distanti. Lei viveva ancora a Calvi dell’Umbria, io ad Ostia, quindi lei era spesso ospite a casa mia o viceversa. Il nostro rapporto di sorelle non ha mai conosciuto momenti critici. Molte cose erano cambiate, ovvio, ed anche lei artisticamente. In sala d’incisione era maniacale, curava molto gli album. Di quel periodo è da ricordare “La musica che mi gira intorno”, uno dei dischi che racchiude di più le sue passioni musicali. In quel disco ci sono tutte le canzoni da lei più amate.
Quel duetto con Loredana del 1993 a Sanremo “Stiamo come stiamo” è stata un’idea di lei o di Mia?
Di Mimì. In quel periodo Loredana aveva davvero bisogno di aiuto, e lei ce l’ha messa tutta. Pensa che Mimì salì sul palco e ancora nemmeno aveva il disco pronto; questo per farti capire che l’unico interesse lo rivolse alla sorella. Come lei racconta spesso ironicamente la canzone meritava il Premio Boy Scout.
Dopo la sua scomparsa hai divulgato sin da subito il ricordo di lei?
Da pochi anni se devo essere sincera! Fino a poco prima non riuscivo neanche a parlarne, ci ho messo molto a metabolizzare il tutto. Ed è a partire da una serata del Festival di Somma Vesuviana di Ciro Castaldo, persona seria e competente (oltre che amico fraterno), che è iniziata la mia partecipazione. È doverosa una divulgazione così sentita, soprattutto per i più giovani.