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Sanità – De Matteis: «Calabria più simile all’Eritrea che all’Italia»

Ogni mattina, leggiamo delle drammatiche carenze della sanità in Calabria. Premesso che il problema ormai è nazionale, la nostra regione nella classifica è abbondantemente ultima da molti anni.

Per mia personale esperienza nel settore, è evidente a tutti la volontà di privatizzare il sistema sanitario nazionale, portata avanti in questi anni con varie responsabilità da tutta la politica. Nella nostra regione sono venute meno anche le basi dell’assistenza, sia territoriale che ospedaliera, nonostante la manifestata buona volontà del governatore ed i suoi tentativi tampone, è sotto gli occhi degli sfortunati pazienti, che chiunque di noi – non esagero – rischia la vita per qualsiasi accidente.

Mi limito ad evidenziare ancora una volta, la situazione del tirreno.

Guardiamo la medicina del territorio, molti comuni anche sperduti sono privi del medico di famiglia, il quale per quasi un secolo è stato il fulcro della sanità in tutti i paesi. Ricordiamo tutti la figura del medico condotto, dell’ufficiale sanitario. Senza tornare molto indietro negli anni, con nostalgia, ripensiamo a quei medici a cavallo o a dorso di mulo, che si inerpicavano sulle mulattiere per raggiungere, casolari isolati.

Oggi con la super tecnologia si muore perché l’ambulanza (quando si trova) – visto il numero di richieste – arriva in ritardo e spesso senza medico a bordo. Le cause: la mancata programmazione, il totale stravolgimento del carico lavorativo del medico di famiglia e le contribuzioni, non a livello europeo, hanno reso poco appetibili questi incarichi. I giovani medici cercano lavoro all’estero, e come minimo i medici calabresi preferiscono il centro nord. I medici del 118, che svolgono un lavoro stressante, mal retribuito, anche essi in numero insufficiente, causa anche l’incapacità regionale, in tutti questi anni, di valorizzare questo lavoro, confluiscono nel privato, ben retribuito e con maggiori servizi.

Il servizio di guardia medica, che presidiava ogni comune, è ormai ridotto ai grossi centri. Ricordiamo che alcuni medici di questo settore, in Italia, sono stati uccisi, prevalentemente donne, mentre non si contano le aggressioni notturne.

Gli ospedali calabresi, in particolare i pronto soccorso, sono diventati un incubo.

Guardiamo agli anni  settanta e novanta: avevamo ben tre ospedali con tre cliniche private. Si riusciva, a far fronte al primo soccorso e alle degenze di numerose patologie. Tanti cittadini ricordano ancora l’impegno personale di alcuni colleghi, che riuscivano a far fronte anche alle tante carenze organizzative.

Oggi dopo decine di proclami, tagli di nastri e belle parole, l’ospedale di Praia a Mare, definito per anni “ospedale di frontiera”, è ridotto ad un modesto Pronto Soccorso e qualche ambulatorio. Chi ha bisogno, come minimo si reca a Lagonegro ,in Basilicata. Cetraro, una struttura imponente mai completamente utilizzata, le facciate cadono a pezzi, quei reparti che qualche decennio fa riuscivano a far fronte alle richieste di pazienti con varie patologie, si sono svuotati, intorno il deserto. Paola ancora riesce a fornire alcuni servizi, ma la carenza di personale medico e paramedico, penalizza tutte le attività, inoltre periodicamente, viene depauperato di qualche attivit.L’elenco sarebbe lungo, basta leggere la cronaca quotidiana.

Per decenni l’Utic di Paola è stato un fiore all’occhiello: ricordo personalmente la collaborazione col Mario Negri per il protocollo GISSI UNO. E mentre i paolani muoiono per infarto acuto, non si sblocca l’attivazione dell’emodinamica, già pronta.

Non voglio entrare nel sottobosco delle motivazioni, ma riflettete un po’, guardatevi intorno, e le conclusioni sono facili.

Sullo stesso Pronto Soccorso si riversa una grossa fetta di pazienti del tirreno. Come può un solo medico, con pochi infermieri, far fronte a questo assalto giornaliero?

Una notizia di cronaca di qualche giorno fa (fonte Iacchitè): una signora di Fuscaldo viene portata al P.S. di Paola, il medico di turno ritine necessario il trasporto a Cosenza per un particolare intervento chirurgico. La paziente, pensate al carico lavorativo dell’unico ospedale di livello di tutta la provincia, viene parcheggiata in P.S.

La fortuna della donna è stata, che in questo frangente, è giunta la figlia infermiera presso l’ospedale di Bologna, che fatta caricare la propria madre su una ambulanza privata, assumendosi anche dei rischi, l’ha fatta arrivare nel nosocomio del capoluogo romagnolo appena in tempo, per farla sottoporre ad intervento.

Molti mi chiedono: ma i famosi medici cubani?

Premesso che personalmente, col collega Pititto, abbiamo lavorato con alcuni di loro nell’ ospedale di Asmara, in Eritrea. Pititto nel reparto di dialisi, da lui stesso realizzato anni fa, ed il sottoscritto al Pronto Soccorso (sempre della capitale). A titolo personale ritengo che possano tranquillamente lavorare in Calabria, in quanto – allo stato attuale – tra Calabria ed Eritrea, in sanità, non esiste grande differenza, fatta salva la carenza di farmaci, presidi terapeutici ed apparecchiature che, da decenni, l’occidente ha bloccato. Vi dico la loro attuale situazione in base a ciò che ho letto. Ubicati dal 23 c.m. presso Locri, Polistena, Melito, Gioia Tauro, per quanto concerne Reggio Calabria.

Ma leggo la seguente nota: “si dispone per un periodo di due mesi, di affiancare un collega italiano in servizio”.

Resta inteso che anche quando i colleghi cubani si avvieranno a raggiungere la piena autonomia, con loro ci dovrà essere “in seconda”, sino a nuove disposizioni, un dirigente medico italiano.

Concludo dicendo che, se avete la possibilità fatevi una copertura assicurativa, almeno per i grandi rischi, se avete il tempo necessario, dopo aver verificato la disponibilità regionale, fate come l’infermiera di Fuscaldo: prendete una ambulanza privata e pregate DIO che in qualche regione italiana più efficiente vi accolgano.

BUONA FORTUNA A TUTTI NOI.

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