Imbarcati gli aiuti paolani per l'Eritrea

A(s)mara terra mia

«Tra gli uliveti è nata già la luna

 un bimbo piange, allatta un seno magro…

Addio, addio amore, io vado via…» .

 

Questi struggenti versi sono stati incisi nel 1971 da Domenico Modugno in un album dal titolo “Con l’affetto della memoria”. Sono versi di un realismo disarmante, lucidi come la canna di un fucile puntato al cuore di tutti coloro che, nella propria terra, soffrono di una condizione tale da tramutarsi in desiderio d’abbandono.

Una ferita profonda solca il cuore di chi emigra perché “deve”.

Chi emigra per “dovere”, lo fa principalmente per ragioni etiche. Se la terra è soltanto “amara”, che senso ha goderne il gusto?

E allora: treni stracolmi come carri bestiame, barconi malmessi a sfidare i marosi, aerei usati solo come funivie tra cime e valli a cui ridiscendere “stranieri”; diventano la norma. Chi non vuole accettare il monogusto della propria amata terra, va via. L’immagine poetica che ci è stata consegnata in merito all’emigrazione sta tutta nella figura di quegli animi sensibili che, meglio d’altri, riescono a sintonizzarsi sulla frequenza collettiva dei sapori. L’eroe emigrato è, in Epica, il meglio di un popolo che inizia una marcia verso un’altra terra “promessa”. Il protagonista di ogni stornello letterario imbastito per instillare una cultura propensa eternamente all’erba del vicino, è colui che diventa esemplare di un’eccellenza possibile solo grazie alle “umili” origini. Origini che – generalmente – il sistema economico che sovrintende alle nostre azioni, individua nel lato meridionale d’ogni cosa. Perché nella propria “amara” terra, questi fiori non sarebbero mai sbocciati. Piacevole giustificazione per il furto del futuro che ogni governante perpetra nei confronti del proprio popolo.

All’emigrato “per dovere” è stata inibita la possibilità di immaginare un futuro piacevole sul proprio suolo natio, un futuro fatto magari di progenie e di voglia di continuare nel solco dei propri antenati. L’emigrato “per dovere” diventa quello “schiavo” di cui anche Papa Francesco ha parlato quest’oggi. Uno schiavo “necessario” a questo modello di democrazia. Purtroppo.

Per evitare le migrazioni così dolorose e doloranti, basterebbe una politica che puntasse al bilanciamento dei sapori, senza eccedere troppo nella dolcezza (in fondo questo non è il Paradiso, nel senso dell’immortalità) e rimanendo nel punto mediano che poi è quanto basta per ispirarsi alla sopravvivenza in questa vita.

In una Calabria dove si muore (anche) per la puntura di un insetto, tante persone riescono a trovare il gusto mediano per “sopravvivere” e riescono (anche) ad esportarlo. In fondo, se ci siamo riusciti noi, provare a “restare” è possibile.

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I protagonisti di questa bella pagina di cultura etica: De Matteis e Pititto (a terra) Serpa, Straface, Zappone e Soria (sul pianale del Camion comunale)

Per questo i Dottori Cosmo De Matteis e Roberto Pititto hanno indirizzato i propri sforzi verso l’Eritrea, una parte del mondo apparentemente lontana per cultura e tradizioni, ma esponenzialmente continua alla matrice meridionale di noi calabresi. Un Paese nel quale si muore per poco, per la mancanza dell’attrezzatura di base di un ospedale, per l’assenza di medicinali… per chi si fosse distratto: non ci si sta riferendo all’assetto sanitario della Calabria (anche se il recente caso di Praia a Mare…).

Una Terra dalla quale si emigra in massa.

In Eritrea i Dottori De Matteis e Pititto svolgono un lavoro importante, coordinando le iniziative dell’associazione ASMEV – Calabria che «ha fondato e gestisce, il primo centro di Emodialisi, presso l’ospedale Orotta di Asmara, l’unico centro terapico pubblico per emodializzati, oggi esistente in tutta l’area del Corno d’Africa». (Testo integralmente “copiato e incollato” dall’home page del sito ufficiale dell’Associazione disponibile a questo link)

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Medicinali ed attrezzature mediche (reni artificiali e defibrillatori), imbarcati al Porto di Napoli alla volta dell’eritrea

In Eritrea, i Dottori De Matteis e Pititto,  coadiuvati dal consocio ASMEV ed esperto tecnico Francesco Zappone e dai tre autisti del Comune di Paola: Franco Serpa, Franco Soria e Franco Straface; hanno recentemente spedito (imbarcandolo “personalmente” dal porto di Napoli) un set di reni artificiali messi a disposizione dalla “Cosmos Ospital” ed un defibrillatore cardiaco gentilmente offerto dall’Associazione “Amici del Cuore di Paola – Onlus”.

Tutte queste persone, in Eritrea, hanno piantato un seme che aiuterà quella terra a mitigare il suo sapore “amaro”, un seme che, se dovesse radicarsi bene, potrebbe costituire un utile deterrente contro le slavine dell’emigrazione in futuro. Queste persone, in Calabria, aiutano a pensare che è solo il buongusto l’alternativa al “cattivo gusto” che impera. Una Regola antica, degna del Taumaturgo San Francesco di Paola, Patrono della Calabria. È utile ricordarlo.

 

Come è utile ricordare e ringraziare Franco Serpa per le fotografie che corredano il “pezzo”.

About Francesco Frangella

Giornalista. Mi occupo di Cronaca e Politica. Sono tra i fondatori del Marsili Notizie ed ho collaborato come freelance per varie testate.

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