No-poaching

No-poaching. Un reato “virtuoso” sconosciuto in Italia

Che la meritocrazia in Italia sia un lontano miraggio sono in parecchi a pensarlo, anche se esistono casi in cui l’eccesso di merito può arrivare addirittura ad essere un intoppo. Lo sanno bene i principali colossi della Silicon Valley, Apple, Google, Intel, Adobe e altri, accusati di aver stipulato una sorta di tacito accordo di non aggressione, per non sottrarsi reciprocamente risorse umane preziose, mantenendo costantemente allo stesso livello i salari e finendo quindi per costituire una sorta di cartello. Stando alle notizie diffuse dal quotidiano Bloomberg, che da giorni circolano in rete, il patto illecito getterebbe sospetti e ombre anche sul fondatore della Apple, Steve Jobs, indicato come l’iniziatore di questa pratica collusiva allorquando, nel 2005, avrebbe intimato con decisione al co-fondatore di Google di non assumere un certo numero di risorse in forza alla Apple, minacciando di scatenare una “guerra” in caso contrario. Da allora questo meccanismo definito no-poaching, letteralmente “non frodare”, si sarebbe stratificato al punto da divenire una prassi consolidata. Contro queste aziende leader è oggi in corso una pesante class action che potrebbe costringerle a pagare un risarcimento fino a 3 miliardi di dollari.

In un libero mercato, come quello nordamericano, il “genio” e la bravura di un dipendente rappresentano valori da tutelare. Perdere un buon lavoratore rappresenterebbe un danno anzitutto economico, da evitare con ogni mezzo, anche il meno lecito, come nel caso – tutto ancora da verificare – dei colossi californiani.

Il paragone con l’Italia è certamente impietoso. Assodato che l’offerta di lavoro è sempre nettamente inferiore rispetto alla domanda (per lo più di giovani che poi finiscono all’estero), è altresì vero che esiste un vero e proprio sbarramento al merito che opera a più livelli, dalla scuola, fino alle posizioni di top manager. Le testimonianze sono tante, tra le più recenti all’attenzione dell’opinione pubblica vale la pena ricordare il caso dei test di medicina e odontoiatria da poco conclusi tra gli scandali e le proteste, nonché la vicenda delle nomine dei manager delle società pubbliche, conclusasi di fatto in uno scambio di poltrone tra soggetti già noti.

Il dubbio di fondo è che, in assenza di sistemi di scelta chiari e trasparenti, forse sarebbe più efficace lasciare che siano gli anni di studio e pratica ad operare una selezione “naturale” tra gli studenti aspiranti medici, oppure che siano le dinamiche del mercato in cui opera da anni a fare emergere un capitano di industria o un manager di talento, con riconoscimenti e compensi certamente proporzionati alle rispettive competenze.

Il 24 maggio, salvo patteggiamento, avrà inizio il processo che determinerà le eventuali responsabilità delle big della Silicon Valley, protagoniste di un caso davvero eclatante, emblematico di un diverso modo di attribuire valore ad un comune fattore umano, il talento, finora certamente più largamente apprezzato e riconosciuto altrove, ma non in Italia.

 

 

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