la comunità

La Comunità che restituisce identità. Ai luoghi e alle persone

di Rino Guida

la comunitàCon un ritzurei (saluto) Emanuele azzera i sei anni trascorsi lontano dal tatami proiettandosi nuovamente nella dimensione a lui più congeniale. Nonostante le poche ore di sonno e l’afa di una calda mattina di fine agosto, nei suoi occhi si irradia un misto di concentrazione e felicità. Mimmo, maestro ed esperto judoka, è visibilmente sorpreso dalla dimestichezza ostentata dal nuovo allievo. D’altronde il retaggio di Emanuele, ventinovenne romano di origini calabresi, porta i segni indelebili delle kumi kata (prese) apprese nella palestra della Garbatella, quando era più «pischello», come si lascia sfuggire arrossendo al riaffiorare di un ricordo sbiadito.

Leonardo, che la notte precedente ha fatto baldoria fino alle tre del mattino sulle note del cantante Brusco, fin da subito mostra la sua smania di fare e di apprendere. E a causa della fretta si rende protagonista di un veniale affronto alla millenaria cultura nipponica. «Il tatami può essere calpestato solo a piedi nudi. E le scarpe vanno lasciate ai bordi, dirette verso l’esterno», gli spiega Mimmo con l’affabilità del buon Sensei. Leonardo, ventiduenne anch’egli capitolino, dall’alto dei suoi quasi due metri, ricorda il gigante buono del carosello di un’epoca orsono. Ma a dispetto di uno degli eroi della generazione nostrana dei baby boomers, il riccioluto romano non fornisce bensì invoca aiuto. Uno degli allievi di Mimmo, nonostante un gap di otto anni e svariati centimetri, lo immobilizza in una morsa dalla quale è impossibile divincolarsi.

Leonardo A. ed Emanuele sono due dei dieci pazienti, tutti romani, di una comunità terapeutica riabilitativa per pazienti con disturbi della sfera psichica, con sede a Trastevere, zona sud ovest della capitale. Da cinque anni a questa parte, i nove ragazzi e la sola Giorgia come quota rosa, sono ormai soliti trascorrere gli ultimi dieci giorni di Agosto, sulla costa dell’alto Tirreno calabrese. Il soggiorno è reso possibile dalla dedizione e dall’abnegazione di Mariopaolo Dario, medico psichiatra responsabile della comunità, Rosa Callea assistente sociale, Imma Ingegnere infermiera e Valeria Condino, psicologa psicoterapeuta. La comunità terapeutica è un servizio dell’A.s.l. Roma/d al cui interno ci sono sia dipendenti della stessa A.s.l. che operatori della cooperativa Aletheia.

Grazie all’estrema disponibilità del personale responsabile ho avuto l’opportunità di trascorrere un paio di giorni in compagnia dei ragazzi. A dispetto di quella che potrebbe sembrare una villeggiatura ho avuto subito la percezione che il cronoprogramma delle giornate fosse serrato e denso di attività da fare.

la comunitàIl tempo di un caffè e appuntamento alle nove del mattino nei pressi della palestra dell’Istituto professionale di Paola, in provincia di Cosenza. La struttura ospita gli allenamenti e alcune delle attività agonistiche dell’A.s.d. (Associazione sportiva dilettantesca) “Judo Club Paola”, prima scuola di Judo del Tirreno. Una realtà attiva dal 2005 e ormai consolidata all’interno del panorama sportivo calabrese. L’associazione, che si regge in toto sull’autofinanziamento, può contare su una ottantina di iscritti, di età compresa fra gli undici e i vent’anni. Una vera e propria fucina di nuovi talenti, gestita da Domenico Morrone, per gli amici Mimmo, una vita dedicata al Judo. Classe ’69, Mimmo si abbandona alla nostalgia e si lascia andare ai ricordi. Il più gratificante e significativo è sicuramente il terzo gradino del podio alle finali nazionali, categoria esordienti, disputate all’Eur, trentaduesimo quartiere di Roma, nell’ormai lontano 1982. Il maestro non nasconde l’orgoglio e mi mostra fiero la medaglia di bronzo, suggello dell’impresa. Una carriera agonistica al vertice, indiscusso numero uno a livello regionale per quasi una decade. Negli anni ’90 il ritiro dalle competizioni. Ma per chi asserisce, senza lasciar trapelare alcun segno di ironia, di «non saper vivere un solo giorno senza judo», era impossibile pensare di separarsi dal tatami. Oggi insegna le tecniche di combattimento di tale antica arte a ragazzi che seguono entusiasti.

In qualità di osservatore sono esentato dal prender parte all’esercitazione. Prima di entrare in palestra ne approfitto per fumare la prima sigaretta della giornata in compagnia di Vincenzo che ha dalla sua la carta anagrafica, cinquant’anni compiuti, ed ha dunque un buon pretesto per non indossare il judoji e per gratificarsi con quella che è invece la terza sigaretta che ammette di aver fumato da quando è sceso dal letto. Vincenzo è la sveglia ufficiale della comunità. Alle 5 e mezza, senza alcuna differenza di stagione, è in piedi. Complice l’aria salubre e la tranquillità dei posti, in Calabria Vincenzo riposa meglio ed anche più a lungo. Un duplice beneficio considerando che si tratta anche di ore sottratte al suo passatempo preferito: la sigaretta.

Chi non ha problemi di sonno invece è Michael, ventiquattro anni, e una spiccata propensione ai momenti di ristoro. A fine viaggio sarà eletto all’unanimità “pensionato della vacanza”, menzione ricevuta con il sorriso sornione di chi tacitamente ammette di essersi goduto la villeggiatura.

Dopo due ore di prese, combattimenti, sudori e risate, una piacevole sorpresa rende i ragazzi ancor più felici ed emozionati. A ricordo della mattinata trascorsa insieme ad allenarsi, Mimmo appronta una scenografia tra il faceto e formale in modo da poter premiare tutti i partecipanti con una medaglia. Strette di mano, sorrisi, fotografie ad immortalare il momento precedono i saluti. Un saluto che Mariopaolo e Valeria auspicano possa essere un arrivederci e che Mimmo rimanda ammiccando ai ragazzi: «L’anno prossimo niente baldoria la notte che precede l’allenamento, dato che ho in mente di intensificare la sessione e insegnarvi molto altro ancora.»

La mattina non è ancora terminata. E se le lezioni di judo sono state una piacevole prima volta per l’intera comunità terapeutica, non si può dire altrimenti dell’appuntamento successivo, divenuto ormai una costante dei soggiorni in Calabria: le immersioni subacquee con il gruppo capitanato dal veterano e inossidabile Piero Greco. Il tragitto che separa il tatami dal mare è davvero breve, ma nel mentre, ho l’opportunità di conoscere meglio Riccardo, ventiseienne romano, folgorato dal mio mezzo di locomozione, una cinquecento Fiat classe 1968, cimelio di famiglia da generazioni. Nonostante ciò mi rendo subito conto di non possedere nemmeno una frazione delle conoscenze di Riccardo in fatto di macchine e motori, e alle domande sulle caratteristiche tecniche della vettura, che negli anni ha subito numerose revisioni, riesco a malapena a rispondere. Per uscire dalla simpatica impasse propongo a Riccardo di venire con me in macchina.

la comunitàSolo l’anno di immatricolazione della Topolina potrebbe classificarci come epigoni della Beat Generation, ma per il resto dobbiamo accontentarci di un’andatura modesta sul lungomare paolano, che non sarà certo l’high way del Pacifico. Riccardo mi racconta i piacevoli interludi della vita in comunità, dove è riuscito ad edificare rapporti umani solidi, veri e duraturi. Mi racconta della piccola band con la quale si diletta e della quale fanno parte alcuni dei ragazzi conosciuti proprio in comunità. Gli piace scrivere i testi delle canzoni inserendosi nella scia di un cantautorato soft nelle melodie e abbastanza criptico nelle parole. Ascoltiamo alcuni pezzi memorizzati sul suo smartphone, e sebbene la qualità dell’audio sia inevitabilmente non delle migliori, rimango colpito dall’espressione artistica dei ragazzi.

Giunti alla sede del Gruppo Subacqueo Paolano, zona nord del lungomare di Paola, nemmeno il tempo di posteggiare e Riccardo è subito intento ad armeggiare con la muta. Valeria, la psicologa psicoterapeuta, in comunità da quasi una decade, nonostante abbia da poco compiuto trentuno anni, rivela con un pizzico di malcelato orgoglio come molti dei ragazzi nel corso degli anni siano diventati davvero esperti, «in grado di poter acquisire tranquillamente il brevetto, avendo appreso nel corso degli anni estrema padronanza nel preparare ed adoperare l’attrezzatura indispensabile alle immersioni.»

la comunitàE notando come Daniele P., trentasei anni ed un immancabile sorriso, si senta a proprio agio con muta e bombole non posso che darle ragione. Leonardo M., ventitreenne dal fisico scultoreo, non può vantare la medesima esperienza e gli stessi trascorsi in acqua, e così cerca ancora di carpire e metabolizzare i rudimenti della tecnica di compensazione, indispensabile per tollerare le variazioni di pressione atmosferica, nella piscina appositamente adibita all’interno della sede del Gruppo Subacqueo Paolano.

Nel contempo ne approfitto per approfondire la conoscenza degli operatori responsabili della comunità. Imma e Rosa, rispettivamente infermiera ed assistente sociale, hanno dormito poco la notte precedente in attesa che rincasassero tutti i ragazzi presso la casa di riposo per anziani pensionati autosufficienti, ex O.n.p.i. (Opera nazionale pensionati italiani), struttura che si trova a San Lucido, paese della costa tirrenica sempre in provincia di Cosenza, e che da qualche anno ospita il soggiorno estivo della comunità, grazie alla disponibilità dell’amministrazione e del primo cittadino Pizzuti. Le indefesse operatrici ostentano una miscela di professionalità e di ironia, inevitabile per sdrammatizzare situazioni talvolta nient’affatto leggere. Imma somatizza le immancabili preoccupazioni affidandosi al suo pacchetto di Diana blu, ed ha la battuta sempre pronta. Rosa è più serafica e trasmette una tranquillità contagiosa, nonostante si debbano fronteggiare anche difficoltà contingenti non preventivate. Al rientro da una delle escursioni guidate in gruppo, difatti hanno trovato una disdicevole sorpresa ad attenderli: un furto di mille euro dalla cassa comune. Mariopaolo, medico psichiatra responsabile della comunità, dispensatore di citazioni colte, di sorrisi e sguardi rassicuranti, saprà ad ogni modo far quadrare i conti all’interno di un budget più risicato del previsto. Valeria, un uragano di energia e di idee, perennemente in movimento, un occhio al benessere dei pazienti e l’altro alle scartoffie burocratiche, mi racconta un aneddoto che mi introduce alla conoscenza del responsabile del gruppo subacqueo paolano, quel Piero Greco che ormai tutti, dagli operatori ai pazienti, considerano la quinta colonna in loco della comunità.

Piero Greco è un’istituzione nell’ambito del panorama sportivo e solidale calabrese e la sua fama ha valicato anche i confini nazionali e a ben donde considerando le meritorie attività di cui si è reso protagonista negli anni. Ad emblema e sintesi di un curriculum vitae copioso basti citare la partecipazione al programma televisivo condotto da Paolo Bonolis “Il senso della vita”, in omaggio alle «iniziative volte a formare, nel miglior modo e con le più innovative tecniche, allievi e istruttori non vedenti nelle attività subacquee», come si legge anche sul sito ufficiale della Fipsas, la federazione sportiva del C.o.n.i che gestisce l’attività subacquea.

Piero, classe 1953, ha un fisico, un’energia e un dinamismo da far invidia ad un atleta trentenne. Valeria mi racconta come in una precedente escursione alle pendici del “Dolce che dorme”, promontorio nei pressi di Orsomarso, alcuni dei ragazzi abbiano sofferto il panico da vertigini. Ed è stato grazie a Piero, che come un vero e proprio muletto umano si è caricato in spalle i ragazzi facilitandone la transizione nei passaggi più impervi, che i ragazzi hanno potuto godere del panorama estatico tipico del posto. Piccola nota a margine: tra i ragazzi scortati in sicurezza figurava anche Leonardo A., il gigante buono dai quasi due metri di altezza e dal peso superiore ai novanta chili.

la comunitàPer il giorno seguente è in programma un’escursione, seguendo i tortuosi sentieri tracciati dal torrente Licciardo alle pendici del monte Crocetta, con annesse discese all’interno di cascate naturali mozzafiato. Per il momento mi devo fidare della parola di Piero, finora primo ed unico esploratore di tali posti vergini, ignoti anche per il bestiame che è solito pascolare in quelle valli. Saluto i ragazzi che hanno deciso di non prender parte alle immersioni dando loro appuntamento per l’indomani pomeriggio.

Il giorno successivo è ancor più piacevole e sorprendente del precedente. La diffidenza iniziale dei ragazzi, complice una conoscenza parzialmente già acquisita, si sgretola con il passare dei minuti, fornendomi l’opportunità di un’immersione totalizzante nelle dinamiche della comunità. Posteggiate le vetture ci inerpichiamo per sentieri che ci regalano paesaggi stupefacenti e dove le uniche forme di vita sono bovini intenti a pascolare. Questa volta sono testimone diretto delle fobie di alcuni dei ragazzi, poco inclini ad avventurarsi lungo strade difficilmente percorribili. Dopo quindici minuti di cammino e continui richiami di Mariopaolo e Valeria ai ritardatari, Piero fa segno che è giunto il momento di seguire il corso del torrente. Massimiliano, ventiquattro anni, soprannominato bisteccone in omaggio al Galeazzi nazionale, Emanuele, Leonardo A., Daniele F., venticinquenne da poco entrato in comunità, ed ovviamente i soliti Micheal e Vincenzo preferiscono non inoltrarsi ulteriormente. Imma e Rosa restano con loro e noi altri, armati di mute e imbracature iniziamo l’entusiasmante discesa sulle orme del tragitto pioneristicamente tracciato da Piero. Questi concettualmente è cresciuto con il mito del superuomo di Nietzsche, e non fosse altro che per le abilità acquisite ne rispecchierebbe in toto i crismi. Fortuna che rispetto al filosofo tedesco risulti decisamente più ottimista, dall’entusiasmo contagioso e dalla battuta facile. A far crollare definitivamente il paradigma del mito ci pensa Elena, la sua aiutante diciottenne. Non fosse per la sua presenza Piero dimenticherebbe molta della sua attrezzatura, nella foga e nella curiosità di andare avanti sempre e comunque. Ed infine, a riportare tutto a una dimensione terrena, ci pensano i ragazzi della comunità che al tipico urlo scherzoso ed autoironico di Piero «Io sono Hercules», rispondono in coro con una pernacchia ed una sonora risata.

la comunitàIn questa atmosfera goliardica Piero dimostra comunque una professionalità e un’attenzione senza pari, conscio di come la vita di altre persone dipenda sempre dalla sua capacità di pronta risposta in caso di rischio. Rassicurato da ciò decido di avventurarmi, seguendo Valeria, Daniele P., Leonardo M., Giorgia, Riccardo, Elena e Federico, altro assistente di Piero. Mariopaolo decide di rimanere a metà strada in contatto con ambedue le estremità del gruppo. La prima cascata è di soli tre metri e la discesa non risulta essere troppo problematica. Procedendo lungo il corso del torrente Licciardo, Piero racconta di come sia stato difficoltoso sradicare tutta la vegetazione per aprire il varco da noi percorso. L’acqua è gelida ma la vista della seconda cascata, di quasi nove metri, ci ricompensa degli sforzi fatti. Riccardo, un passato negli scout, decide di voler tentare anche la seconda discesa e notando la convinzione nei suoi occhi, Piero conferisce il proprio placet. Il ragazzo è in gamba e nel giro di breve archivia anche questo ostacolo. Siamo così pronti per ascendere verso il punto di partenza, ripercorrendo a ritroso il tragitto appena fatto. Piero, da buon istruttore, diventa man mano sempre più esigente e ci obbliga a scalare la prima cascata a mani nude con il solo ausilio di un’imbracatura rudimentale, che ci sostenga dal bacino. Anche se potrà sembrare per certi versi paradossale l’inerpicata risulta essere meno complicata della discesa.

E così dopo tre ore il gruppo si riunisce, e Mariopaolo, con l’approssimarsi della fine del viaggio, inizia a tirare le somme. Il suo atteggiamento è diretto, senza fronzoli. Elogia i progressi visti ma non si esime dal richiamare l’attenzione su alcune criticità per lui ancora evidenti. Di certo resta il fatto che il confronto con una realtà per nulla asfittica, come può risultare alla lunga quella della comunità, ha giovato a tutti.

Per l’epilogo della giornata è prevista una pantagruelica abbuffata in agriturismo. Viaggio in macchina con Federico, che ha già avuto modo di conoscere alcuni dei ragazzi negli anni passati. Mi rivela di come gli abbia fatto piacere ritrovare alcuni di loro decisamente «più ricettivi». In particolare mi parla di Micheal, che quest’anno ha trovato decisamente più rilassato e tranquillo. Giunti in agriturismo tra un antipasto e un bicchiere di vino Emanuele mi racconta del suo sogno di riprendere a praticare judo. Gli hanno fatto estremamente piacere i complimenti sinceri ricevuti da Mimmo, lo hanno inorgoglito risvegliando una passione mai sopita. Rimpiange il fatto di essersi fermato ad un passo dal conferimento della cintura nera. In qualità di cintura marrone di secondo grado, avrebbe dovuto sostenere un incontro per salire di gradazione cromatica e quindi di qualifica. Ma la mattina dell’incontro non si è presentato. Quando gli chiedo le motivazioni, sospirando mi risponde che «come dice Mariopaolo, io tendo a svalutarmi.» Il suo passato turbolento, fatto di esperienze non sempre positive, lo ha poi distratto dal judo. Oggi è più sereno, pronto per realizzare la sua ambizione più grande: lasciare la comunità e vivere tranquillamente la realtà circostante, archiviando paure e traumi.

A fine serata mi trattengo a parlare con Valeria. Visibilmente provata ma al contempo soddisfatta, nei suoi occhi color mare si scorge lampante una passione smodata per un lavoro oggettivamente complicato. Ed è proprio dal mare che parte il suo ragionamento:

la comunità«I ragazzi in acqua si trasformano. Acquisiscono sicurezza, autostima. Non sono più paralizzati dalle loro paure. Prescindendo per un attimo da teorie e quant’altro, credo che la componente irrazionale insita nel mare contribuisca a dar loro una spinta ulteriore.»

Valeria ha un animo romantico e in passato, neanche troppo remoto, ciò ha rischiato di essere un vulnus.

«Le dinamiche di comunità talvolta possono essere complicate. Non è scontato che gli input vengano sempre recepiti. Il lavoro di gruppo è essenziale in tale ottica, poiché consente un confronto continuo. Mariopaolo è maestro nel saper scindere i rischi intrinseci ad alcuni schemi terapeutici, e grazie ad un’elaborazione costante e un dialogo serrato riusciamo ad interpretare meglio le risposte implicite di alcuni pazienti. Allo stesso modo se non ci fossero Imma e Rosa, la vita di comunità sarebbe sfiancante. Sono due persone eccezionali e due operatrici infaticabili.»

Le chiedo quale sia la modalità operativa mediante la quale vengono seguiti i pazienti:

«Viene redatto un progetto personalizzato di autonomia e riabilitazione, solitamente della durata triennale, ma procrastinabile. Alcuni di questi progetti prevedono l’inserimento nel mondo del lavorativo o la fine di un ciclo di studi a seconda dei casi. Ad esempio Massimiliano e Leonardo A. nel Giugno di quest’anno hanno conseguito il diploma. Una volta giunti a scadenza tali progetti, si valutano gli effettivi progressi fatti dal paziente ed eventualmente si procede ad un graduale reinserimento.»

Le domando incuriosito quale sia l’obiettivo precipuo della sua professione. Mi risponde con una metafora calzante:

la comunità«Hai presente quando oggi Piero ci raccontava delle difficoltà di estirpare tutta quella vegetazione? Adesso tu hai conosciuto questi ragazzi nella loro veste di varco spoglio, aperto, sostanzialmente libero con giusto qualche rovo che ogni tanto riemerge qua e là. Il nostro lavoro consiste proprio nell’agevolar loro nell’apertura di questo varco all’interno di una radura inizialmente così fitta da non lasciar trapassare nemmeno uno spiraglio di luce.»

Memore della sua esperienza decennale in comunità, ma soprattutto considerando che sia il quinto anno che il progetto del soggiorno in Calabria viene replicato, le chiedo le differenze riscontrate rispetto agli anni precedenti:

«E’ innegabile che ognuno dei ragazzi abbia fatto notevoli progressi. In alcune situazioni è necessario valorizzare i punti di forza, ma al contempo riconoscere i punti critici, per lavorare insieme su un progetto che possa essere esteso anche al lavoro in comunità.»

Si predilige un confronto franco con i pazienti e non si esime dal fare richiami bruschi laddove lo ritenga necessario:

«Credo che questo sia un ulteriore modo per responsabilizzarli ed autonomizzarli. Il lavoro comunitario deve enfatizzare le criticità per farne prendere coscienza. Senza d’altro canto evitare di riconoscere meriti e progressi.»

Il classico bastone e carota, in voga da sempre, non a caso anche nella diplomazia. Ma questa volta della carota, a sorpresa, è stata omaggiata proprio Valeria. Durante la settimana difatti alcuni dei ragazzi, Riccardo, Emanuele, Daniele P. e Leonardo A., si sono resi protagonisti di una bellissima iniziativa nei pressi del comune di Fuscaldo, laddove si sono immersi per tributare una corona di fiori alla statua di San Francesco di Paola, protettore della gente di mare, adagiata sul fondale marino.

«Quando ho visto i ragazzi riemergere e tutta la gente intorno omaggiarli di un applauso spontaneo, l’emozione è stata grandissima ed a stento ho trattenuto le lacrime. In generale il lavoro svolto ci regala tanto; con loro scopriamo piccoli passaggi, che alle volte nemmeno riusciamo ad immaginare e ci spingono a confrontarci con una realtà non sempre facile. Senza dubbio mi hanno fatto crescere molto. E non intendo solo dal punto di vista professionale, bensì dal punto di vista umano. Ognuno ha il suo portato, ma la cosa interessante è che ognuno di noi, soprattutto in queste esperienze, si confronta anche con i propri limiti e le proprie paure. I ragazzi spesso mi spingono a superare questi limiti. Come ad esempio oggi quando mi sono calata all’interno della cascata. Una cosa che in passato probabilmente non avrei fatto. Ma che oggi sentivo di voler e dover fare. Per loro. Per dimostrar loro che è possibile superare le proprie ansie e le proprie paure.»

«L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi». Così asseriva Marcel Proust. La scintilla che riverbera negli occhi di Giorgia lascia presagire che il viaggio è appena agli inizi.

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