Sapore di cinema

Sapore di Cinema. La versione di Dattis

 

Che cos’è il cinema? Si chiedeva Bazin oltre mezzo secolo fa, intervenendo nel dibattito fra quanti cercavano di dare uno statuto all’ultima delle arti: la più moderna, la più difficile da catturare in una definizione. La questione è tuttora irrisolta e la domanda del grande critico francese, padre della Nouvelle Vague, continua ad interrogare critici e appassionati che in qualche modo si avvicinano al cinema subendone la magia, e in molti casi restando vittime di una vera e propria manìa: la cinefilia. La cinefilia è una “malattia sana” che colpisce molti appassionati di cinema, senza distinzione di classe, di sesso o di ordine sociale: ti porta a vedere film improbabili, in posti improbabili ad ore ancor più improbabili; ti fa svegliare di notte per cercare una frase, una scena; ti fa chiamare in modo precipitoso il tuo amico cinefilo per dirgli che deve assolutamente andare a vedere il film finlandese che hai appena visto e che reputi un assoluto capolavoro.

Anche Marilena Dattis con il suo Sapore di Cinema è una portatrice sana di cinefilia.

Ma che cos’è Sapore di cinema? Be’, tanto per “gradire” si potrebbe dire che è un libro sul cinema fatto di cinema, e che è difficilmente collocabile proprio come il suo stesso oggetto.

Entrando più nel dettaglio, il libro si divide in tre parti: la prima è un racconto poliziesco fatto interamente con i titoli di 923 film; la seconda è fatta di 999 brani cinematografici che l’autrice è andata annotando in ogni dove, man mano che la sua manìa cresceva nel corso degli anni; la terza è dedicata alla poesia nel cinema: ricordare 9 poesie, per nove film.

Il libro è dunque un omaggio al cinema, e alle “parole” del cinema, non è un caso se si conclude in poesia: il luogo in cui la parola recupera tutta la sua potenza evocativa, direi fondativa (“e Dio disse…”).

Ripetere, raccontare, ricordare tanti film, tante scene non è altro che un riportare al cuore (ri-cordare), un “contare” una volta ancora (ri-contare) l’emozione provata quella volta che si è visto per la prima volta una scena. Significa chiedere ancora una volta (ri-petere) ad ogni battuta che generi l’incanto del cinema, l’emozione mista a timore che provarono i primi spettatori vedendo un treno che “entrava” nella sala. In definitiva, possiamo dire che Sapore di cinema è la risposta-Dattis alla domanda di Bazin, è la storia di una malattia d’amore dalla quale, come dice il postino-Troisi a Neruda, non si può né si vuole guarire.

di Giuseppe Sommario

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