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Nobili e notabili – di Roberto Pititto

La feudalità con tutte le sue attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni sinora baronali, ed i proventi qualunque che vi siano stati annessi, sono reintegrati alla sovranità, dalla quale saranno inseparabili

Articolo 1 della legge n. 130 del 2 agosto 1806, emanata dal Re di Napoli Giuseppe Bonaparte.

Da quel momento, con la perdita dei diritti feudali, la legge è perciò nota come “eversiva o di eversione della feudalità”, nel Regno del Sud si assistette ad un radicale cambiamento della classe dirigente. Il Nobile Feudatario, che non poteva più contare sulla rendita derivante da quei diritti che la legge abrogava, in particolare quelli giurisdizionali, in pochi anni vide svanire il suo patrimonio, anche perché solitamente non era in grado di esercitare alcun tipo di lavoro, non era, da secoli abituato a lavorare e non possedeva alcuna competenza specifica . Per sostenere il suo tenore di vita fu costretto a vendere quei beni immobili, terre, palazzi, castelli, di cui la legge lo aveva reso semplice proprietario e di solito si ritrovò in miseria in poco tempo. La nuova classe dirigente che subentrò era formata da ricchi contadini, artigiani, commercianti e mercanti di successo o da professionisti quali medici, farmacisti, notai e avvocati. Tutti loro un mestiere e l’attitudine a lavorare ce l’avevano ed avevano pure sufficiente liquidità per acquistare le proprietà che i nobili decaduti erano costretti, come detto prima, a vendere, anzi spesso a svendere. Diventarono ricchi possidenti, con un’aura di quasi nobiltà, quasi però, non nobiltà vera, non nobili quindi, ma notabili. I loro eredi per due secoli sono stati la classe dirigente nuova, che nel Regno del Sud prima, in quello d’Italia poi ed infine nella Repubblica, condizionava molti o forse tutti gli aspetti della vita sociale, ogni decisione di pubblico interesse, ogni legge o appalto, in tempi più recenti, ogni elezione per i governi locale o nazionale. Qualcuno tra i più intraprendenti divenne parlamentare, deputato o senatore, ministro o almeno sottosegretario. Fino a qualche anno fa le cose andavano così. Poi ci si rese conto che a furia di condizionare e non fare, a furia di fare il parlamentare, l’assessore regionale, il presidente di quell’ente, di quel consorzio, e altre amenità simili, s’era perso quel mestiere del bis-bisnonno e soprattutto s’era persa completamente la voglia di lavorare. Niente paura, è un film già visto, prima di quella dannata legge di Giuseppe Bonaparte; basta riavvolgere il filo del tempo, ritornare a quei bei tempi, rifare il processo inverso: da notabile a nobile, perché nobile è a vita. Certo i diritti feudali è difficile riaverli nella forma originale, ma si campa ugualmente bene con stipendi, indennità, gettoni, commissioni, rimborsi, vitalizi e… chiedo scusa se dimentico qualcosa, ma credo sia sufficiente. Ed oggi li rivediamo spesso questi Feudatari di ritorno, che fanno rivivere uno di quei bei quadri medioevali descritti da scrittori di successo. Arriva il Conte, pardon l’onorevole, per la fiera della lana, anzi no per un convegno sulle prospettive di lavoro al Sud (sfottono pure), intorno a lui si affolla la nobiltà minore, Valvassori e Valvassini, Cavalieri spiantati, cadetti e fanciulle da marito, sulle scale della cattedrale il Priore ed il Vescovo salutano e benedicono. Il Conte (o l’onorevole.. non so, non riesco a distinguere) con aria bonaria, dispensa sorrisi e promesse, in egual numero, una stretta di mano, una pacca sulle spalle non la nega a nessuno. Mancano solo i cavalli, gli asini, in compenso, abbondano. Secondo me noi Calabresi dovremmo chiedere i diritti a Ken Follet.

Roberto Pititto

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