ATTENZIONE: il racconto che segue è in parte tratto dal resoconto di viaggio dei due protagonisti (riportato nel volume “Paola, storia, cultura, economia” pubblicato da Rubbettino nel 1999), in parte frutto dell’immaginazione dello scrivente.
1907. Due viaggiatori francesi, Louis e Charles De Fouchier, sono a bordo di un treno diretto a tutto vapore a Paola. La nostra cittadina ha da non molto sofferto rovine e crolli (ma non fortunatamente vittime) a causa del terremoto dell’8 settembre 1905. I due fratelli sono curiosissimi di analizzare l’etnografia del paese, i suoi colori, i suoi odori, tutte le usanze tra cui, sicuramente, il culto di San Francesco, il santo patrono del quale proprio quell’anno ricorrono i 400 anni della sua morte.
Dopo un lungo viaggio, in un’epoca in cui treni non andavano oltre i 30 km/h, i De Fouchieur scendono alla stazioncina del paese, in uno spiazzo ancora privo di qualsiasi edificio accanto, e dal quale si ammira perfettamente la cittadina, distesa sulla collina, attorniata da una distesa di verde, e dalle mastodontiche montagne del nostro appennino. Attorno quasi nulla, solo tanta vegetazione, asini che attraversano la strada, uliveti, e nei pressi della stazione una collina con la Torre del soffio ben visibile, mentre dall’altro lato alcune casupole che compongono il quartiere della Marina, e un mare più blu degli occhi di qualsiasi bella ragazza scandinava.
Giunti finalmente in paese in compagnia di un facchino che trasporta i loro pesanti bagagli, i fratelli francesi restano senza parole non appena si imbattono nelle baracche edificate sui lati di Viale dei Pioppi, l’attuale Corso Roma, per ospitare i senza tetto del sisma. Mentre salgono verso il paese i fratelli sono seguiti “da una numerosa scorta di monelli”, tra cui molti bisnonni dei paolani contemporanei. A Piazza Nizza, l’attuale Piazza IV Novembre, tutto sembra familiare “oh, che bello, l’hanno chiamata con il nome di una nostra città, allora ci amano!” sussurrano i francesi. All’angolo del tamburello non c’è mica il bar di Meo, ma solo un cumulo di macerie di un palazzo, che faceva sorgere l’angolo della piazza non appena terminato il tamburello (la foto sotto ne è la prova evidente).
Ma lo spettacolo più agghiacciante è quello che i francesi sono costretti a osservare non appena giunti a Corso Garibaldi. Sotto le volte delle case “brulica una popolazione sporca e chiacchierona” affermano i due viaggiatori. Al peggio non c’è mai fine! Recatisi all’ufficio postale sicuramente per recapitare una lettera con su scritto “siamo arrivati sani e salvi nella terra dei briganti” i due si imbattono non con le poste, ma con “un tugurio in cui uno osa appena arrischiarsi”. Sull’odore dell’addetto postale, della gente sporca e dei monelli non osiamo immaginare, stendiamo un velo pietoso.
Le bellezze di Paola risiedono sicuramente in molti aspetti architettonici di un borgo ancora incontaminato dall’espansione edilizia e culturale. I De Fouchieur non possono sicuramente non accorgersi di una cosa; a Paola il Cinematografo, arte inventata nella loro patria, non è ancora arrivato. “Ma è meraviglioso, non lo conosci? Ti siedi in una sala più buia della notte e vedi immagini in movimento che fuoriescono da un arnese nascosto in una cabina alle tue spalle, che te le proietta!” avranno sicuramente detto i due a qualche giovane comare paolana per far colpo su di lei mentre questa, scalza e stanca, stava per portare l’acqua a casa, non capendo un tubo del francese parlato dai due avventurieri.
Non potrebbe essere altrimenti, il francese è ancora una lingua non masticata dai calabresi, come l’italiano d’altronde o l’alfabeto latino. In quegli anni il tasso di analfabetizzazione paolana è ancora molto elevato; l’80% della gente del paese è infatti ufficialmente analfabeta. Ma si sa, il cinema ai tempi del muto è una delle grandi arti per cui non vale la pena conoscere nessuna lingua e nessun alfabeto. Si tratta di una sorta di esperanto visivo. E per le didascalie? Nessun problema, qualche imbonitore che le leggeva ad altissima voce in sala lo si trovava sempre, meglio ancora se costui fosse stato capace di tradurle all’istante nello strettissimo dialetto di paese (in fin dei conti si trattava di frasi brevi).
Per quanto incontaminata Paola non vanta delle particolarità antropologiche delle comunità albanesi o grecaniche disseminate su tutto il territorio calabrese (Falconara è nei paraggi). Come già accennato, il paese non ha avuto vittime durante il sisma, e tutti sono convinti che ciò dipenda dalla protezione del Santo (a Paula c’è Sanmpranciscu). Ma la strada da fare è tanta, veramente tanta, per far sì che questa città dal nome di donna possa finalmente rinascere dalle proprie ceneri, mettendosi alle spalle difficoltà e limiti tipici di una ristretta mentalità di paese in un mezzogiorno ancora fin troppo emarginato. Un discorso che vale ancora oggi, proprio come allora.